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Musica: Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
Musica: Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
- Adagio. Allegro moderato. Poco adagio
- Allegro moderato. Presto. Maestoso. Più allegro. Molto allegro
Organico: 3 flauti (3 anche
ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2
fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba,
timpani, triangolo, piatti, grancassa, organo, pianoforte (a 4 mani),
archi
Composizione: aprile 1886
Prima esecuzione: Londra, St James's Hall, 19 maggio 1886
Edizione: Durand & Schoenewerk, Parigi, 1886
Dedica: in memoria di Franz Liszt
Composizione: aprile 1886
Prima esecuzione: Londra, St James's Hall, 19 maggio 1886
Edizione: Durand & Schoenewerk, Parigi, 1886
Dedica: in memoria di Franz Liszt
Camille Saint-Saëns, nato nel 1835, e
Brahms, nato nel '33, sono coetanei, e negli ultimi due decenni
dell'Ottocento in Europa erano artisti di autorità e fama pari.
A
quell'epoca, vivi entrambi, si definiva Saint-Saëns "il Brahms
francese", chissà perché! O forse perché per uno e l'altro, e
in modo indefinito per entrambi, si parlava, e si parla tuttora, di
'classicismo' nell'arte romantica. Ma l'accostamento dei nomi può
essere utile solo per separare quanto si può le due figure (che
tuttavia si confrontavano davvero, almeno a Vienna, dove Saint-Saëns
era famoso): tuttavia la sovrana coerenza di Brahms era radicata
nell'Ottocento, nello spirito del sinfonismo tedesco, mentre
Saint-Saëns, forte ingegno multiforme e prolifico, come vedremo,
irrequieto, sperimentale, brillantemente dispersivo, era l'esponente
di una coscienza nuova, di una civiltà estetica che cambiava.
Non si vuole dire che Saint-Saëns
abbia anticipato il Novecento (per certi aspetti lo ha anticipato
meno di Berlioz), anche se, essendo egli un makrobios, 'uno di
lunga vita', nel Novecento c'è abbondantemente entrato, e con sua
grande irritazione. Rifiutava Debussy, e pare gli sia toccato anche
essere presente alla 'prima' del Sacre du printemps di
Stravinskij, restandone inorridito (ma non è certo, e Stravinskij lo
ha smentito). È lecito credere, però, che in molta della sua musica
migliore si siano delineati e, a volte, perfino maturati i caratteri
'francesi' dell'impressionismo musicale, nella tecnica del colorismo
orchestrale (che in lui può essere anche romanticamente sontuoso),
nelle sottigliezze, perfino analitiche, dell'armonia, nel gusto
dell'ironia e dello scherzo e in qualche caso nella coesistenza,
singolare e tipica, di asciuttezza classicheggiante e decorazione.
Certo è che Saint-Saëns
intelligentemente si compiaceva della sua felice, inesauribile
adattabilità agli stili e agli umori più diversi, e scrisse di
tutto (e molti capolavori), tredici tra Opere e Operette, Oratori,
tre Sinfonie, cori, Concerti solistici, Poemi sinfonici, squisita
musica da camera, melodie vocali, trascrizioni di musiche altrui - e
addirittura la musica per un film (nel 1908 L'assassinai du duc de
Guise). Il suo impulso musicale onnivoro è testimone, sì, di
un'eccezionale energia produttiva e di un sentimento di dominio sui
tempi, ma si direbbe anche che nasconda la ricerca di una base
appropriata, di un terreno naturale, di una 'patria' (un terreno
segnato per lui da Wagner all'inizio e da Liszt, ma poi sicuramente
francese, anzi parigino!) - e la ricerca di un futuro, di una
rinnovata classicità non germanica, del futuro che Saint-Saëns
preparava con esperienza e grande sapienza e che non gli appartenne.
Egli, insomma, si sentì fratello di Franck, di Fauré, di Duparc,
non padre di Debussy e Dukas (che per qualche aspetto gli era
simile).
La difficoltà per noi oggi sta nel
fatto che la musica di un tale artista dominatore nel suo tempo è
quasi scomparsa dalle nostre abitudini di ascolto, a parte il
capolavoro del Samson et Dalila, la Danse macabre e
l'imponente Terza Sinfonia, sì che non abbiamo più idea né
del magistero tecnico di cui egli fece eredi i giovani, né,
purtroppo, dell'eleganza dei suoi lavori più raccolti (la
splendida Sonata per violino e pianoforte in re minore,
il Quartetto in mi minore), dell'aristocrazia sentimentale,
dell'umorismo (l'incantevole Carnaval des animaux) che egli
forni al nuovo stile.
Delle prime due Sinfonie lo stesso
Saint-Saëns fece in modo che scomparissero dal repertorio. Cure ben
più attente dedicò alla Terza, uno dei suoi opera
magna insieme al Samson (1877), destinato a celebrare
il sinfonismo francese e poetico dei nuovi tempi: composta
nell'inverno tra il 1885 e l'86, fu eseguita a Londra, alla
Philharmonic Society, il 19 Maggio 1886, diretta dall'autore.
Era
dedicata a Franz Liszt, che morì a Bayreuth due mesi dopo. E fu
degno omaggio dell'artista che molto doveva all'alta e generosa opera
spirituale e civile di Liszt.
La costruzione in due tempi, molto
originale per una Sinfonia, Saint-Saëns l'aveva già sperimentata
dieci anni prima nel suo Quarto Concerto per pianoforte e
orchestra, che è restato il suo più bello, e nella Sonata per
violino e pianoforte in re minore, contemporanea della Sinfonia e
divenuta subito celebre. In realtà la forma bipartita di questi tre
magnifici lavori racchiude, e cela in parte, la tradizionale
architettura in quattro tempi, Allegro, Adagio, Scherzo, Allegro e
Finale. Ho detto che essa cela la forma classica e il suo dinamismo
interno perché i quattro tempi sono allacciati due a due in una
continuità superiore, confermata dall'invenzione ciclica per la
quale alcuni motivi, identici o elaborati, interi o in una loro
parte, tornano dall'inizio alla fine. Nel nostro caso è dominante la
presenza delle famose prime quattro note del Dies irae, dalle
quali alcuni compositori romantici (e anche qualcuno poi) pare siano
stati ossessionati.
Il primo Adagio si inizia in
modo raccolto, con due brevi disegni tematici, due presagi delle
invenzioni dell'intera Sinfonia, uno cromatico discendente (violini)
e l'altro melodico ascendente (oboe, poi flauti). È un indugio
silenzioso. Ma i brividi (violini e viole in pianissimo)
dell'Allegro moderato lo disperdono in una tesa inquietudine,
che a mano a mano si fa drammatica. Il moto incessante degli archi si
espande per tutta l'orchestra, e sopra e dentro di esso tornano nei
legni e nei corni i due disegni dell'Adagio iniziale. Un terzo
tema in ritmo ternario sincopato aumenta la fremente drammaticità in
uno sviluppo sinfonico esteso e molto complesso, e tuttavia chiaro
all'ascolto. Poi la forte agitazione, e con essa le sonorità e i
colori, si stemperano in una quieta transizione verso il Poco
adagio, pagina di alto lirismo. Gli archi prima, poi i legni e gli
ottoni in pianissimo, cantano una struggente melodia, che torna
e torna su se stessa. L'organo la sostiene e delicatamente
l'accompagna a un chiarore notturno in cui essa si rifrange, si
innalza e svanisce. Per chi sa essere 'sentimentale' quando occorre,
questo Adagio è una pagina che non si dimentica.
Nel secondo tempo la contrapposizione
all'Allegro moderato e Presto (che qui insieme hanno
la funzione dello Scherzo classico) è all'estremo contrario del
lirico Adagio del primo tempo. Infatti vedremo che il
compito di chiudere con solennità la Sinfonia tocca a
un Allegro e Maestoso. Due scattanti invenzioni
ritmiche, poco più di due cellule, insistentemente replicate (archi
con timpani, quindi flauti, oboi, clarinetti), avviano il secondo
tempo, in cui predominano, negli archi prima e nei legni subito dopo,
diversi disegni in terzine scandite (anche con gli accenti sui tempi
deboli). Con il Presto si ripetono, integri o frammentati,
in alternanza e in sovrapposizione contrappuntistica, i motivi
fondamentali, con il pianoforte in grande attività, come squillante
sfondo sonoro. L'eccitazione musicale, controllata dalla magistrale
sapienza sinfonica ma prolungata oltre l'immaginabile, culmina e si
disperde in frammenti per tutta l'orchestra (episodio di
transizione), in una stupita atmosfera di attesa. Che un poderoso
accordo di do maggiore (organo) annienta, seguito dall'esultanza di
tutti i settori, dai contrabbassi a un bagliore dei flauti. La
grandiosa e sonorissima rievocazione di una festa barocca, la parodia
(nel senso di imitazione manieristica, senza caricatura) di una
cerimonia di corte, mette fine alla sinfonia. Nella severità
accademica del poderoso Finale si nascondono il sorriso e l'ironia
dell'autore, che licenzia la sua romantica e francese Sinfonia con
l'antiromantica celebrazione del Seicento francese.
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