Don Giovanni o Il convitato di pietra è
una commedia tragica in cinque atti del drammaturgo e
attore francese Molière.
Trama
Atto I
La scena inizia con Sganarello e
Gusmano che discutono sull'inaspettata e segreta partenza di Elvira,
al seguito del marito Don Giovanni. Durante la discussione,
Sganarello si lascia andare, confidandosi e confessando al Gusmano
chi realmente è Don Giovanni: un padrone perfido, cinico
e libertino, che prova diletto nel conquistare le donne e
consumare i piaceri carnali, per poi abbandonarle con disprezzo. Dopo
la dipartita di Gusmano sopraggiunge Don Giovanni, il quale ha un
lungo discorso con Sganarello sul suo modo di vivere: egli gli
confessa che non riesce a restar legato a una donna perché dopo la
prima consumazione dell'atto sessuale, quest'ultima perde di fascino
e di interesse per lui, il quale, quasi per istinto, è costretto a
cercarne nuovamente un'altra, alla quale riservare il triste e
perfido trattamento della precedente. Il loro dialogo si interrompe
improvvisamente alla vista della “prossima designata” alle
crudeltà di Don Giovanni, il quale ordisce insieme al mal
volenteroso Sganarello un piano per rapirla in barca durante una gita
col suo legittimo fidanzato, sul mare. Sganarello obbedisce come di
consueto agli ordini del padrone, che però cerca sempre di
dissuadere in qualche modo dalle sue iniquità. Infatti, durante il
dialogo, Sganarello chiede a Don Giovanni se sia realmente il caso di
rapire questa donna con la forza, dato che sei mesi prima era
addirittura arrivato a uccidere un Commendatore, padre di una delle
sue innumerevoli vittime, reato per il quale era stato assolto dal
giudice. Successivamente Elvira riesce a trovare per strada il suo
consorte, il quale ipocritamente afferma di sentirsi colpevole di
averla sottratta al convento in cui lei stava e di averla sposata,
perché adesso sente che il Cielo gli è avverso e finalmente lui se
ne è accorto. Elvira non crede alle fandonie inventate seduta stante
dal marito, del quale giura di vendicarsi in maniera terribile.
Atto II
Il piano del malefico Don Giovanni e
Sganarello viene sventato da un'improvvisa burrasca che li scaraventa
sulla battigia della costa. Qui vengono recuperati e tratti in salvo
da due contadini: Pierotto e Carlotta, promessi sposi. Una volta
recuperati i sensi Don Giovanni, accortosi della bellezza di
Carlotta, si rinfranca dal suo recente fallimento, e si getta nella
sua arte della seduzione, con encomi ed elogi iperbolici alla umile
contadina, che dapprima non si fida molto dei grandi paroloni adorni
di Don Giovanni, ma alla fine cede alla tentazione di poter
abbandonare il suo misero rango di contadina e divenire un'agiata
signora. A nulla servono le esortazioni a mantenere la sua promessa
di matrimonio, che le vengono ricordate dal fidanzato Pierotto,
accortosi di quello che accade. Dopo aver usato vigliaccamente
Carlotta come scudo per difendersi dalle percosse di Don Giovanni,
Pierotto si dilegua in preda all'angoscia. Al riguardo del
matrimonio, va ricordato che a quell'epoca erano validi i matrimoni
segreti prendendo fisicamente la mano della promessa moglie. Non
appena Pierotto se ne va, sopraggiunge Maturina, un'altra contadina,
alla quale Don Giovanni precedentemente aveva promesso di sposarla,
che, sospettando dell'infedeltà del futuro marito, rivendica davanti
ai presenti di essere la sola designata a maritarsi con lui. Ha
quindi luogo un acceso dibattito tra Carlotta e Maturina, senza
esclusione di offese e scherni, nel quale entrambe affermano di
essere le promesse consorti di Don Giovanni. Quest'ultimo riesce ad
evitare il medesimo confronto e le eventuali scuse con uno
scaltrissimo stratagemma il quale consiste nel negare e allo stesso
tempo affermare quello che ognuna delle due asserisce. Tale dibattito
si conclude con la promessa, ad entrambe, di matrimonio che viene
così posticipato all'indomani mattina. In quell'istante sopraggiunge
Ramaccio, uno spadaccino al servizio di Don Giovanni, che reca a
quest'ultimo la notizia che dodici uomini a cavallo lo stanno
cercando, con cattive intenzioni. All'udire tali parole, Don Giovanni
escogita all'istante lo stratagemma di scambiarsi d'abito con
Sganarello, il quale, afferrando subito lo scopo di tale manovra e
compresi i rischi che corre, escogita a sua volta un piano migliore.
Atto III
Don Giovanni asseconda e adotta quindi
l'idea di Sganarello, che consiste nel vestirsi da viaggiatore lui, e
da medico il servo. Ha luogo quindi un altro dialogo tra Don Giovanni
e Sganarello, dal quale emerge lentamente il carattere vile del
servo. Egli si diverte nel raccontare al padrone di aver abusato
dell'abito da medico che indossa, per prescrivere medicine puramente
a casaccio, al primo malcapitato, che supplicava il suo parere e/o
supporto medico. Tale scena va a riprendere il “tema dell'abito che
fa il monaco”, assai ricorrente in quasi tutte le pièces di
Molière, soprattutto ne il Medico Volante. Strada facendo Don
Giovanni e Sganarello incontrano Francesco, un povero mendicante, al
quale chiedono informazioni per giungere in città. Il pover'uomo
accetta di buon grado di aiutarli, indicandogli la strada e inoltre
avvertendoli che l'intera zona è da diverso tempo battuta da
predoni. Al momento dei ringraziamento per le preziose informazioni,
il povero chiede gentilmente a Don Giovanni, in cambio di una
perpetua preghiera, di fargli un'elemosina: il libertino accetta, a
patto che egli bestemmi. Il pover'uomo dimostra di essere povero
economicamente, ma riccamente volitivo e saldo alla fede che non
tradisce nemmeno in cambio di un Luigi d'Oro, preferendo morire di
fame. Don Giovanni allora, mosso da un barlume di inaspettata
compassione, gli dona ugualmente un Luigi d'Oro, asserendo di
darglielo per amore dell'umanità. In quel medesimo istante Don
Giovanni intravede da lontano un uomo assalito da tre banditi, scena
di enorme vigliaccheria (come asserisce lo stesso Don Giovanni), che
lo chiama in suo aiuto. Grazie alla sua destrezza nella spada mette
in fuga i banditi, e ottiene così una devotissima riconoscenza
dall'assalito. Si scopre però che questi è Don Carlos, uno dei
fratelli di Elvira, giunto insieme a suo fratello ed a un seguito di
uomini per saldare una faccenda d'onore. Il consanguineo di Elvira
quindi si confida con il libertino, confessandogli che più
precisamente devono saldare i conti con la spada con un certo Don
Giovanni, il quale ha oltraggiato l'intera famiglia, approfittando
dell'innocente Elvira. Don Giovanni, apprendendo che Don Carlos non
conosce il volto di questo suo oltraggioso nemico, coglie l'occasione
per inscenare un piano per arruffianarsi il consanguineo di Elvira,
ed evitare il duello, offrendosi di presentargli lui stesso questo
fantomatico Don Giovanni interpretato da uno dei suoi servi,
abbigliati come lui, e mandati come capro espiatorio alla morte,
proprio come voleva fare precedentemente con Sganarello.
Sfortunatamente per Don Giovanni, sopraggiunge Don Alonso, fratello
di Don Carlos ed Elvira, il quale, a quanto pare, conosce o comunque
è in grado di riconoscere l'oltraggioso libertino che ha lordato
l'onore della loro famiglia. Don Alonso dunque si appresta ad
adempiere alla sua vendetta, quando viene fermato da Don Carlos, che
dopo un lungo e controverso dibattito con il fratello, lo convince a
lasciarlo andare, riproponendosi di saldare il loro conto in un
secondo momento, dato che se non fosse per lui, quei tre banditi lo
avrebbero ucciso. Non appena i fratelli di Elvira si allontanarono,
Don Giovanni rimprovera Sganarello di non aver tentato di aiutarlo
contro i due fratelli. Prima di incamminarsi nuovamente verso casa,
Don Giovanni intravede tra gli alberi limitrofi alla strada un
superbo edificio che si rivela essere la tomba del medesimo
commendatore da lui ucciso sei mesi prima. Quindi, Don Giovanni e il
suo servo (quest'ultimo con grande ribrezzo e contrarietà), aprono
la tomba ed accedono al mausoleo nel quale trovano la rinomata statua
del Commendatore, in abiti da imperatore romano. Dopo aver biasimato
l'immotivato lusso del luogo, Don Giovanni, per beffarsi della statua
incredibilmente rassomigliante al suo proprietario, ordina al servo,
oramai più contrariato che mai, di invitare tale statua a cena, per
quella sera. Con grande costernazione e terrore di Sganarello, la
statua gli risponde chinando la testa a guisa di consenso. Don
Giovanni, incredulo, formula una seconda volta, personalmente,
l'invito, che la statua riaccetta nel medesimo modo, suscitando in
Don Giovanni la voglia di uscire dal mausoleo.
Atto IV
Una volta usciti dal mausoleo,
Sganarello ha un breve dibattito con il padrone, il quale nega la
strana realtà dei fatti appena accaduti. Dunque Don Giovanni
rincasa, e non appena dà ordine che gli venga servita la cena, si
presenta alla porta un commendatore, nonché suo creditore: il signor
Domenico, che viene infine ricevuto con grandi cerimonie, scuse per
l'attesa, inviti a banchettare insieme, moine ed atteggiamenti
ruffiani, che hanno la funzione diversiva di cambiare repentinamente
discorso, ogni qual volta il commendatore accenna ai soldi che il
libertino gli deve. Don Giovanni riesce dunque a dominare il signor
Domenico: creditore che era più che deciso a essere rimborsato
proprio quella sera, tanto che aveva aspettato tre quarti d'ora
nell'atrio, totalmente incurante delle esortazioni dei servi di Don
Giovanni, che volevano convincerlo che il proprio padrone non era in
casa. Sganarello, infine, irritato dalle parole del commendatore che
gli ricordano di avere anche lui un conto monetario in sospeso, butta
fuori di casa il povero e sconcertato Domenico. Subito dopo Violetta
annuncia l'arrivo del padre, Don Luigi, giunto sin lì per
rimproverare il figlio per la vita sregolata e dannata che conduce.
Don Luigi ricorda come abbia a lungo desiderato e pregato il cielo
per avere un figlio; figlio che adesso è solamente motivo della sua
vergogna e del suo dolore. Don Luigi poi se ne va, deluso dalle
parole sarcastiche e denigratorie del figlio. Non appena Don Luigi si
congeda, Don Giovanni mostra tutta la sua contrarietà alle parole
del padre, augurandogli addirittura di morire presto. Prima di
potersi sedere per la cena, Ragotino giunge nella sala, annunciando
al padrone libertino che una signora velata desidera parlargli. Tale
donna si rivela essere Donna Elvira. Ella, non più carica di ira ed
astio nei confronti dell'uomo che l'ha illusa, lo supplica, in nome
dei sentimenti che provò per lui in passato, di redimersi dal suo
stile di vita scellerato e peccaminoso, salvandosi dall'imminente
punizione celeste. Anche Donna Elvira si congeda, annunciando che si
ritirerà a vita solitaria, nonostante le incitazioni del suo falso
sposo, quasi ammaliato dal suo stato d'animo, a rimanere. La cena
viene finalmente servita, ma prima che Don Giovanni e Sganarello
possano iniziare a mangiare, vengono interrotti da una terza visita.
Don Giovanni si trova a ricevere colui che ironicamente aveva
invitato a cena quello stesso pomeriggio, che altri non è che la
statua del Commendatore. La statua che va dai vivi rispecchia il rito
dei morti e inoltre rappresenta la religione cattolica che punisce il
male. Tale ospite inconsueto ed inatteso invita a sua volta Don
Giovanni a venire alla sua cena, la sera successiva, chiedendogli se
ne avrà il coraggio. Don Giovanni accetta di andarci, portandosi il
servo Sganarello, assolutamente contrariato e sgomentato. Come al
solito, il libertino accetta la sfida, non tirandosi mai indietro
dinnanzi a niente e a nessuno, sicuro di sé e sicuro di essere
padrone del suo stesso destino. All'uscita, Don Giovanni si offre di
far luce con una fiaccola al suo strano ospite, che però dice di non
averne bisogno, perché è guidato dal cielo.
Atto V
L'indomani Don Giovanni, mosso dal
proposito di riavvicinarsi al padre, per mettersi al sicuro da
svariati spiacevoli incidenti che potrebbero accadere (soprattutto il
duello con Don Alonso e Don Carlos), finge una totale redenzione.
Credendo a tali parole, il padre, in preda alla più grande felicità,
afferma di averlo perdonato di tutte le sue malefatte passate,
abbracciandolo amorosamente. Quindi Don Luigi colmo di gioia corre a
casa da sua moglie, per darle la buona notizia. La notizia di
redenzione suscita commozione e felicità anche a Sganarello, il
quale viene subito smentito dalla confessione del padrone, che lo
lascia basito. Don Giovanni ammette di lasciarsi andare a tali
confidenze solo perché ha piacere ad avere un testimone del fondo
della sua anima, e un confidente dei veri motivi che lo costringono a
comportarsi così: confessa che la sua finta conversione altro non è
che uno stratagemma utile ed una mossa politica. Si giustifica
inoltre asserendo che l'ipocrisia è un fattore comune tra le
persone, e che molte di queste usano la stessa maschera per ingannare
il mondo. Infine conclude il suo monologo, elogiando l'ipocrisia, la
quale, secondo lui, offre meravigliosi vantaggi, tra i quali quello
di non essere esposti al biasimo collettivo. Successivamente, Don
Giovanni si incontra con Don Carlos, al quale cerca di far credere la
sua redenzione. Inizialmente Don Carlos è lieto di tali parole, e
del fatto che si potrà risolvere la questione in modo pacifico, con
il matrimonio tra Donna Elvira e Don Giovanni, in modo da mettere in
salvo l'onore della famiglia. Ma quando Don Giovanni gli confessa che
anche lui, proprio come Donna Elvira, si ritirerà a vita privata e
solitaria in un convento, su consiglio del Cielo, Don Carlos ritorna
sui passi del fratello, rinnovando la sfida a duello, che avverrà in
un luogo più opportuno di quello. Prima dell'appuntamento con la
statua del Commendatore, il libertino ed il servo Sganarello
incappano in uno Spettro con le sembianze di una donna velata, che
proclama che Don Giovanni ha poco tempo per approfittare della
misericordia del Cielo, prima che la sua dannazione sia irrevocabile.
Dopodiché lo spettro cambia forma, tramutandosi nel Tempo con la
falce in mano. Dinnanzi a ciò, Sganarello rimane completamente
terrorizzato, ed esorta ancora una volta il padrone alla redenzione.
Don Giovanni invece, dopo aver curiosamente detto di conoscere tale
strana voce, sguaina scetticamente la spada, gettandosi sullo
spettro, il quale vola via. Don Giovanni dunque riconferma a
Sganarello che nessuno riuscirà mai a farlo pentire. Poco dopo, il
libertino ed il suo servo incontrano la statua del Commendatore, che
gli ricorda l'appuntamento a cena. Don Giovanni dunque gli chiede le
indicazioni della sua abitazione, e la statua, come se volesse
cortesemente accompagnarlo, gli chiede la mano, che il libertino gli
dà. La statua dunque proclama che il perseverare nel peccato
comporta una morte funesta, e che chi respinge il Cielo apre il
cammino alla sua folgore. Detto ciò Don Giovanni inizia a sentirsi
ardere da un fuoco invisibile, dunque un grande fulmine, accompagnato
da gran fracasso, lo investe, e la terra si spalanca, inghiottendolo
tra fiamme fuoriuscenti. La battuta finale dell'opera spetta a
Sganarello, che si lamenta della paga che non potrà più ricevere
dal momento che il suo padrone è stato appena ucciso.