Konovalov è un racconto del 1897 dello scrittore russo Maksim Gor'kij.
Massimo, il narratore, legge sul
giornale che un vagabondo di nome Conovalov, di
quarant'anni, si è impiccato in prigione e crede di comprendere le
cause del drammatico gesto, perché all'età di diciotto anni ha
vissuto con lui.
A quel tempo Massimo faceva l'aiutante di
un fornaio alcolizzato, sempre in lite con il proprietario
del forno, fino al giorno in cui il fornaio fu licenziato e al suo
posto subentrò Conovalov.
Conovalov è un bravo panificatore, potrebbe avere un proprio forno, come suo fratello, ma ha un carattere particolare: dopo un periodo di vita regolata sente il bisogno di mollare tutto ed è dominato dall'esigenza di darsi all'ubriachezza e di vagabondare, per poi tornare ogni volta a fare il fornaio.
Massimo gli legge una lettera di Capitolina (egli non sa leggere né scrivere), una ragazzetta – dice – che è finita «in una di quelle case». Conovalov aveva già preparato tutto, cioè denari ed altre cose per tirarla fuori da quell'abisso, quando fu assalito da un periodo di alcolismo e la cosa non ebbe seguito. Però, non ha dimenticato la promessa e le ha fatto avere i soldi necessari per la sua liberazione.
Conovalov canta molto bene quando è
malinconico, ma con il canto lo prende un'angoscia che lo risospinge
al vagabondaggio, per cui chiede a Massimo di non cantare nemmeno
lui, ma di limitarsi a fischiare.
Quando vede che Massimo ha in
mano un libro, gli chiede di leggere ad alta voce e da allora inizia
un periodo di letture che lo entusiasmano.
Conovalov ama la natura
di un amore profondo. Entrambi restano per ore intere estasiati ad
ammirare le stelle, il cielo, il mondo del laghetto, le bellezze
della natura.
Nei giorni di festa vanno alla "fabbrica di vetro", un edificio fatiscente di tre piani, dimora di emarginati, poveri e malfattori. Portano un grosso pane, quattro litri di vodka e una grande quantità di frittura calda di fegato, di cuore e di polmone, per offrire con modica spesa un magnifico simposio agli "uomini di vetro", che ripagano con racconti fatti di verità e di bugie.
Un giorno compare Capitolina, che è
stata liberata ed ora vuole passare tutta la vita con lui, il suo
liberatore. Conovalov le spiega che non è possibile, che non ha una
casa, che ha le sue angosce e non può legarsi per sempre a una
donna.
Capitolina reagisce con furia, lo insulta nel modo
peggiore, perché prima aveva un posto, mentre adesso non ha più
nulla. Conovalov è confuso, vede che la sorte di Capitolina è
destinata a peggiorare: l'aspetta la stessa vita, soltanto che in
più, adesso, a causa della delusione che le ha arrecato, diventa
anche lei alcolista. Voleva fare del bene, ma ha sbagliato i calcoli.
Conovalov ha l'animo ferito; alla
tristezza subentra la malinconia e l'angoscia. Lascia il lavoro,
spende tutto in bevute, poi parte in giro per il modo.
Dopo
qualche anno Massimo lo ritrova. Ha ancora un grande amore per la
natura, per la libertà. «Perché», chiede a Massimo, «io non
posso stare tranquillo? Perché gli altri uomini vivono, si occupano
dei loro affari, hanno moglie, figli e vanno avanti? Io invece non
posso, tutto mi è uggioso, perché?»
Dopo tre giorni si
lasciano, con la certezza di incontrarsi ancora; ma poi Massimo
leggerà sul giornale la triste fine di Conovalov.
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