I fratelli Karamazov è l'ultimo Romanzo scritto da Fëdor Dostoevskij.
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È ritenuto il vertice della sua produzione letteraria, un Capolavoro della letteratura dell '800 e di ogni tempo.
Nei primi capitoli l'Autore presenta i Personaggi, iniziando dal vecchio Padre Fëdor Pavlovič, proprietario terriero in un distretto di provincia, Skotoprigon'evsk (traducibile con "mercato dei maiali" e che ricalca la topografia di Staraja Russa) sul lago Il'men'. È un uomo volgare e dissoluto, capace tuttavia di momenti di grande astuzia.
Questi si era sposato dapprima con Adelaida Ivanovna Mjusova, una fanciulla di temperamento romantico che aveva accettato di diventare sua moglie per potersi liberare da un ambiente familiare dispotico, non per vero amore. Ella in seguito aveva abbandonato il marito e il figlioletto Dmitrij, che viene dimenticato dal padre e allevato in casa dal servo Grigorij. Solo un anno dopo la morte della madre, un cugino di lei, Petr Aleksandrovic Miusov, vivace idealista sempre in affari in Europa, s'interessò delle sorti del piccolo affidandolo alle cure di una zia mentre lui era in viaggio. La zia ben presto morì, lasciando Dimitrij a una delle figlie già maritate, cosicché il destino di lui si allontanò momentaneamente da quello del padre, che avrebbe visto e conosciuto più avanti al momento di esigere la propria quota di eredità.
Fëdor, intanto, si sposa una seconda volta con Sofija Ivanovna, un'orfana cresciuta da una vecchia nobildonna vedova di un generale, sua "benefattrice, protettrice nonché aguzzina", che Sofija aveva in odio e dalla quale era fuggita per sposarsi con Fëdor, senza ottenere alcuna dote dall'anziana. Di carattere dolce e di bell'aspetto, a causa del comportamento rozzo e insensibile del marito, diviene una klikuša, termine russo che indica una donna affetta da una malattia nervosa caratterizzata da convulsioni, urla e da una sensibilità religiosa molto acuta. Le condizioni della donna, anche a causa dei continui tradimenti da parte del marito, si aggravano, sino a condurla a morte precoce. Dalle seconde nozze di Fëdor erano nati Ivàn e Aleksej.
Alla morte della madre i bambini, ignorati dal padre e anche loro cresciuti dal servo Grigorij, vengono reclamati dalla vedova tutrice di Sofija Ivanovna, la quale spirò, a sua volta, poco dopo, lasciando mille rubli ciascuno a Ivàn e Aleksej. Il figlio della defunta tutrice, Efim Petrovic Polenov, uomo onesto e sensibile, s'incaricò dell'educazione e istruzione dei fratelli, affezionandosi a tal punto da provvedere al loro sostentamento di tasca propria, senza intaccare l'eredità.
Ivàn cresce con un'intelligenza e una propensione allo studio fuori dal comune ma matura un carattere chiuso e scettico, vicino all'ateismo, seppur assetato di fede. A tredici anni lascia la casa di Efim Petrovic per entrare in un ginnasio a Mosca, terminato il quale inizia l'università. Nel frattempo Efim muore e Ivàn, in attesa di riscuotere la sua parte di eredità (cresciuta nel frattempo, con gli interessi, a duemila rubli), deve lavorare per mantenersi negli studi. Inizia, perciò, a dare lezioni, fare traduzioni e recensioni di libri nonché a scrivere articoli su riviste e giornali, guadagnandosi man mano notorietà e rispetto nei circoli letterari e nel grande pubblico.
Aleksej è un personaggio peculiare. Anch'egli di carattere schivo, sensibile e introverso come il fratello ma di indole solare, al tempo stesso dotato di notevole intelligenza e tuttavia ingenuo e disinteressato al denaro. Si fa subito amare da chiunque e diventa il prediletto di Efim Petrovic e della sua famiglia. Alla morte di questi rimane presso alcune sue parenti per altri due anni finché decide, improvvisamente, di fare ritorno dal padre, senza terminare gli studi. Fëdor inizialmente lo accoglie freddamente ma in breve tempo si affeziona al figlio. Per sua indole Aleksej è portato a cercare la verità nella fede, per la quale è disposto a sacrificare ogni cosa; difatti all'inizio del romanzo si trova in un monastero, nel quale è attirato dalla venerazione per lo starec del luogo, un uomo di nome Zosima.
Il fratello maggiore Dmitrij, che odia il padre per varie ragioni, a partire dagli interessi materiali, è il primo a confessarsi con Aleksej. Dmitrij ha conosciuto, quando era nell'esercito, Katerina Ivanovna, una ragazza molto bella che ha bisogno di un prestito per aiutare suo padre, un tenente-colonnello assegnato al distaccamento di Dimitrij, caduto in disgrazia. Dmitrij la invita a casa sua pensando di ricattarla, ma quando si trova alla presenza della giovane, le consegna la somma e la congeda. Dopo poco tempo, Katerina restituisce la somma e confessa a Dmijtri il suo amore per lui. I due si fidanzano, ma poco tempo dopo Dmijtri si innamora appassionatamente di Grušenka, donna bellissima ma piena di rancore verso gli uomini che le hanno fatto del male. In questo suo torbido amore Dimijtri incontra un rivale proprio in suo padre, il vecchio Fëdor, che ambisce a sposare Grušenka. Intanto Katerina Ivanovna è attratta da Ivàn, che la ricambia.
Un terribile scontro verbale esplode tra Dmitrij e il padre nel monastero dello starec Zosima, dove è stato organizzato un incontro chiarificatore alla presenza di tutti i fratelli, del padre e dello stesso starec, a cui Aleksej era devoto. Improvvisamente lo starec Zosima si alza e si prostra dinanzi a Dmitrij; in seguito rivelerà ad Aleksej di averlo fatto perché aveva compreso che il giovane avrebbe dovuto affrontare un grande sacrificio.
Alëša incontra Iljuša, un bambino oggetto di persecuzioni da parte dei compagni di scuola. È il figlio d'un capitano ridotto in miseria, che Dmitrij ha profondamente offeso; il giovane è molto abbattuto per l'umiliazione subita dal genitore. Iljuša, malato e dall'animo generoso e orgoglioso, commuove Alëša, che si affeziona al piccolo e si impegna affinché l'offesa recata dal fratello venga perdonata. Alëša conosce, da quando era un bambino, Lisa, che si innamora di lui e glielo svela con una lettera. Un giorno Ivàn, a pranzo in una trattoria, si confida con Alëša, che lo ha raggiunto per discorrere insieme: nascono le pagine più tormentate del romanzo, che riflettono le idee di Dostoevskij sulla natura umana e sul destino degli uomini. Ivàn non accetta l'ingiustizia della sofferenza degli innocenti, dei bambini in particolare: "restituisce il biglietto d'ingresso" a un Dio che permette le sofferenze anche di un solo bambino. Alle domande sull'esistenza di Dio, sul senso del dolore e sull'essenza della libertà, Ivàn propone al fratello la trama di un suo poemetto (mai scritto, solo immaginato), in cui appaiono le linee d'una definizione di quei difficili problemi. A ciò è dedicato il capitolo "Il grande inquisitore", considerato una dei vertici letterari del romanzo, che ha circolato come racconto autonomo.
Segue la narrazione della morte dello starec Zosima, che avrà un'influenza decisiva sulla vita di Alëša; attraverso una fitta narrazione trascritta direttamente dal giovane dalla voce dello starec, il lettore apprende i punti salienti della vita precedente del sant'uomo; si parla del giovane fratello dello starec, morto precocemente, poi del "visitatore misterioso", infine di colloqui e sermoni dello stesso starec, "sulla preghiera, sull'amore e sul contatto con altri mondi".
Altro personaggio fondamentale del romanzo è Smerdjakov, probabile figlio naturale di Fëdor e una donna, Lizaveta, considerata pazza: Fëdor si è probabilmente accoppiato con lei in stato di ubriachezza, senza scrupoli legati all'aspetto, alla debolezza di mente e alle condizioni quasi ferine della donna. Come dice lo stesso Fëdor, ogni gonnella va bene e il fatto che una donna sia tale è già metà dell'opera. Smerdjakov è tenuto in casa come un servo, tuttavia non in condizioni misere: viene anzi stimato onesto dal padrone, che ha di lui una buona opinione. Gli eventi maturano e Ivàn, che si è costruito una sua personale filosofia sul destino dei Karamàzov e che crede nella teoria secondo cui "tutto è permesso", irretisce con le sue idee Smerdjakov, che in certo modo è indotto a condividere l'avversione per il padre.
Dmitrij, il quale sa che il padre vuole sposare Grušenka e vorrebbe fuggire lontano con lei, prima di realizzare il suo progetto vuole restituire a Katerina Ivanovna una somma di tremila rubli, ma non sa dove trovare il denaro. Non esita a rivolgersi a molte persone che lo respingono, beffarde, e lo gettano nella disperazione, aggiungendo a questa la loro derisione. Si arma quindi di un pestello di bronzo e corre alla casa del padre, temendo che Grušenka, che non era in casa, si sia recata là. Attraverso la finestra illuminata, però, vede il padre da solo, si allontana stravolto e, mentre sta uscendo dal giardino paterno, colpisce con il pestello il servitore, Grigorij, che ha cercato di fermarlo. Dmitrij corre quindi all'abitazione di Grušenka, ma viene a sapere che la donna è partita per Mokroje insieme ad un altro uomo, un generale che l'aveva abbandonata ed è ora tornato a reclamare il suo amore. Dmitrij pensa che sia meglio uccidersi: con i soldi che avrebbe dovuto restituire a Katerina compra liquori e dolci, poi si fa condurre in carrozza a Mokroje, dove intende trascorrere la notte nei bagordi per poi uccidersi. Ma a Mokroje trova Grušenka insieme al vecchio amante, che vuole solo sottrarre alla giovane del denaro. Dmitrij riesce a smascherare il vecchio e trascorre la notte con Grušenka, bevendo al suono della musica zigana. All'alba, però, la polizia fa irruzione nella camera e arresta Dmitrij con l'accusa di omicidio. Infatti il vecchio padre Fëdor è stato ucciso, e si sospetta proprio di Dmitrij.
La narrazione a questo punto ha una apparente diversione, dedicandosi all'incontro tra Aleksej e un compagno più grande di Iljuša, Kolja Krasotkin, un ragazzo che era amico del bambino, ma che in seguito lo aveva trattato con una severità eccessiva, procurandogli un grande dolore. Aleksej si reca a far visita ad Iljuša insieme a lui e ad altri compagni di scuola del bimbo. Il lettore comprende che Alëša è stato autore della riconciliazione tra Iljuša, i suoi compagni di scuola e il suo amico di un tempo.
Da questo momento il racconto si impernia sul processo a cui è sottoposto Dmitrij e sull'analisi psicologica dei vari personaggi colpiti dal dramma. A predominare è il tormento interiore di Ivàn che, attraverso lunghi e snervanti soliloqui (culminanti nella visione allucinatoria del diavolo, seppur in suadenti modi affabili e in abiti borghesi), si convince delle proprie gravi responsabilità ideologiche. A Smerdjakov, che gli svela di essere l'assassino e gli mostra i denari sottratti a Fëdor, Ivàn manifesta con violenza tutta la perplessità legata alla concretizzazione materiale di una sua idea: l'animo già molto fragile di Smerdjakov ne resta colpito e l'uomo si uccide impiccandosi. Ivàn, al processo, descritto con minuzia in un variare continuo di prospettive, confessa la verità, ma non viene creduto. Dmitrij viene condannato ai lavori forzati. Dmitrij sente però, ancor prima della condanna, incominciare a maturare in sé un "uomo nuovo", che può "risorgere" anche attraverso la punizione, perché "tutti sono colpevoli per tutti", e può così accettare il suo destino anche se non ha ucciso suo padre:
«E allora noi, uomini del sottosuolo, intoneremo dalle viscere della terra un tragico inno a Dio che dà la gioia!»
Nell'epilogo viene descritta una situazione dai contorni sfumati, in cui l'autore lascia intravedere una speranza. Ivàn, in preda ad un grave attacco di febbre cerebrale, si trova a casa di Katerina Ivanovna; avendo previsto la malattia, egli ha predisposto per iscritto un piano di fuga per Dmitrij, da mettere in atto nel momento in cui trasferiranno il condannato in Siberia. Katerina ha un commovente incontro con Dmitrij in cui si giustifica per aver testimoniato contro di lui, pur non credendo nella sua colpevolezza. Intanto Grušenka, ora fortemente innamorata di Dmitrij, è pronta a seguirlo ovunque. Non sappiamo tuttavia, in quanto il romanzo è incompleto, se Dmitrij poi deciderà di fuggire o di scontare la sua pena.
L'ultimo capitolo racconta i funerali del povero Iljuša, in un piccolo dramma di ragazzi che riflette la torbida tragedia degli adulti, e che mostra ad Aleksej la prospettiva di fede in una vita futura che superi le tragedie del passato. Il padre di Iljuša, il capitano Snegirëv, tramortito dal dolore, porta alla sepoltura una crosta di pane da sbriciolare sulla fossa, per esaudire il desiderio del figlio moribondo, che lo aveva chiesto "perché i passeri ci volino sopra: sentirò che sono venuti e sarò contento di non essere da solo".
La grandezza del romanzo sta nel dramma umano che narra, con grande sapienza, gli innumerevoli risvolti dell'anima, con insuperabile potenza evocativa.
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