per soli, coro e
orchestra
#Schiller #Music #History #Beethoven #Sinfonia #Corale
Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
#Schiller #Music #History #Beethoven #Sinfonia #Corale
Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
- Allegro ma non troppo, un poco maestoso
- Molto vivace
- Adagio molto e cantabile (si bemolle maggiore)
- Presto (fa maggiore) - Allegro assai (re maggiore) - Recitativo per baritono: O Freunde, nicht diese Töne (fa maggiore) - Coro: Freude, schöner Götterfunken (Allegro assai - re maggiore)
Organico: soprano, contralto,
tenore, basso, coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti,
2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani,
triangolo, piatti, grancassa, archi
Composizione: 1822 - 1824
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 7 Maggio 1824
Edizione: Schott, Magonza 1826
Dedica: Federico Guglielmo III, Re della Prussia
Composizione: 1822 - 1824
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 7 Maggio 1824
Edizione: Schott, Magonza 1826
Dedica: Federico Guglielmo III, Re della Prussia
Monumento della musica di ogni tempo,
la Nona Sinfonia prese forma molto lentamente nell'arco
della vita di Beethoven. Si può infatti risalire al periodo in cui
il compositore, non ancora ventenne, frequentava l'elite
intellettuale di Bonn ed entrò in rapporti di amicizia con la ricca
famiglia von Breuning, presso la quale conobbe il grecista e poeta
Eulogius Schneider, entusiasta sostenitore degli ideali della
Rivoluzione Francese e Ludwig Bartholomeus Fischenich, docente di
diritto all'Università di Bonn e amico di Friedrich Schiller.
È
molto probabile che proprio in questa Università, dove Beethoven
frequentava i corsi di filosofìa, Fischenich abbia fatto conoscere
al giovane musicista l'opera di Schiller, e quell'Ode An die
Freude (scritta nel 1785 e pubblicata nel 1786) che era
diventata un simbolo degli ideali dei giovani tedeschi. Già allora
Beethoven aveva immaginato di mettere in musica questa poesia,
secondo quanto sostiene Fischenich in una lettera del 1793
indirizzata alla moglie di Schiller. Ma il progetto non andò in
porto, forse a causa dell'improvvisa partenza di Beethoven per Vienna
e della censura che aveva colpito le opere del poeta, messe
all'indice nella città austriaca come scritti «immorali» e
«pericolosi» (solo a partire dal 1808 i suoi drammi furono
nuovamente rappresentati sulle scene e le sue opere poterono
circolare liberamente). Progetto che però rimase sempre nella mente
del compositore, anche prima di essere realizzato, nel 1824, nel
celebre Finale della Nona.
Nel 1790 Beethoven aveva
utilizzato un frammento dell'Ode schilleriana nel testo della Kantate
auf die Erhebung Leopold II zar Kaiserwürde, e non è da escludere
che in quegli anni giovanili possa aver composto anche un Lied,
andato perduto. Gli unici altri testi di Schiller che egli mise in
musica furono una strofa della ballata Das Mädchen aus der
Fremde, nel 1810, e il Cesang der Mönche (dal Wilhelm
Tell), per coro a cappella, del 1817.
Molti elementi musicali della Sinfonia
in re minore si possono individuare in lavori precedenti, oltre
a comparire in forma di appunti e schizzi nei taccuini di Beethoven
sin dal 1794. Allo stesso anno risale la composizione del
"Lied" Seufzer eines Ungeliebten und Cegenliebe, su
versi di Gottfried August Bürger (1747-1794), la cui melodia
prefigura per la prima volta il celebre tema dell'Ode alla
Gioia della Nona. A questo tema Massimo Mila, nella sua
Lettura della Nona Sinfonia, riconduce anche un breve frammento
melodico appuntato in un quaderno del 1804. Già nei primi anni del
secolo Beethoven immaginava di comporre un grande affresco sinfonico
e corale, e aveva anche pensato di concludere la Sinfonia
Pastorale con un coro religioso.
Nel 1808 compose la Fantasia
in do minore per pianoforte, coro e orchestra, che si può
considerare quasi uno studio preparatorio della Nona, sia per la
concezione sperimentale della forma, sia per il contenuto poetico,
legato ai versi di Christoph Kuffner che inneggiano alla pace, alla
gioia, all'armonia universale. Altri spunti che anticipano materiali
motivici e soluzioni formali della Nona si possono cogliere
nel Lied Kleine Blümen, kleine Blätter, su testo di Goethe,
del 1810; in un frammento melodico schizzato nel 1812 sul verso
«Freude, schöner Götterfunken», inizialmente pensato per
un'Ouverture corale, e successivamente utilizzato nell'Ouverture Zur
Namensfeier del 1815; in un tema di fuga annotato in un quaderno
dello stesso anno, che appare come una chiara anticipazione del tema
del secondo movimento della Sinfonia. I primi abbozzi veri e propri
della Sinfonia corale risalgono però al 1817, nello stesso
periodo della composizione della Sonata Hammerklavier. Questo
lavoro preparatorio proseguì fino ai primi mesi del 1819, quando
Beethoven abbandonò la Nona per dedicarsi ad altre
composizioni, anche a causa delle esigenze economiche che lo
costringevano a trovare fonti di guadagno; in quegli anni videro la
luce capolavori come la Missa Solemnis, le Sonate per
pianoforte Op. 109, 110, 111, le 33 Variazioni su un Walzer di
Diabelli.
Solo nell'estate del 1822 Beethoven
ritornò finalmente al progetto momentaneamente abbandonato, anche se
in realtà allora aveva in mente due differenti lavori sinfonici,
come aveva confidato a Friedrich Rochlitz, primo direttore
dell'Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia: si trattava di
una composizione in re minore commissionatagli dalla Società
Filarmonica di Londra, e di una «Sinfonia tedesca» con intervento
corale su un testo che non aveva ancora scelto. Nel 1823 i due
progetti confluirono in un unico grande affresco, che rielaborava in
modo organico tutti gli appunti messi insieme fino allora e che,
proprio per questo, apparve come l'esito di una lunga maturazione (lo
dimostra anche l'esiguo numero di ritocchi nel manoscritto della
Sinfonia). Nella primavera di quell'anno Beethoven compose il primo e
il secondo movimento, in ottobre portò a termine l'Adagio, e nel
Febbraio del 1824, con l'inserimento dell'Ode schilleriana affidata a
voci soliste e coro, la partitura fu completata. Cominciarono allora
i preparativi e le trattative per la prima esecuzione, che ebbe luogo
a Vienna il 7 Maggio 1824, al Kärntnertortheater. Un concerto
rimasto memorabile, nel quale la nuova Sinfonia fu diretta, insieme a
tre brani della Missa Solemnis, dallo stesso autore, benché,
date le sue condizioni di salute, la concertazione fosse stata curata
da Michael Umlauff, maestro stabile del teatro. I quattro solisti
erano le giovanissime Henriette Sontag e Caroline Unger,
rispettivamente soprano e mezzosoprano, il tenore Anton Haitzinger e
il basso August Seipelt. L'esecuzione non fu di altissimo livello, a
causa del poco tempo destinato alle prove, ma il pubblico,
numerosissimo, accolse la nuova Sinfonia con grande entusiasmo,
tributando a Beethoven non gli applausi, che non poteva sentire, ma
un festoso sventolare di fazzoletti. Fu quindi un trionfo, dal quale
tuttavia Beethoven non riuscì a ricavare i guadagni che sperava, e
anche una ripetizione del concerto, il 29 Maggio non ebbe migliore
successo finanziario. La partitura fu pubblicata da Schott nel 1826
con la dedica «a sua Maestà, il Re di Prussia Federico Guglielmo
III», e la copia manoscritta fu poi conservata alla Biblioteca Reale
di Berlino.
La Nona Sinfonia apparve
subito come un capolavoro rivoluzionario, non solo per la presenza
delle voci e del coro, ma perché metteva in crisi il concetto stesso
di "Sinfonia". Oltre che una sintesi di tutto ciò che era
stato fino ad allora sperimentato e acquisito nel genere sinfonico,
dalla forma-sonata al Lied, dalle Variazioni allo stile fugato,
la Nona è anche una grandiosa architettura sonora nella
quale Beethoven fa convivere altri generi musicali: lo stile
operistico, la musica militare, gli esotismi «alla turca», la
scrittura polifonica tipica della musica sacra. Elementi eterogenei
che compongono un organismo unitario, ricco di invenzioni timbriche e
di finezze ritmiche e metriche (come le soluzioni poliritmiche del
primo movimento o i raggruppamenti alternativamente a tre e a quattro
battute dello Scherzo), e caratterizzato da continui impulsi
dinamici che imprimono un'energia inesauribile al concatenamento
delle figure musicali. Nonostante la grandiosità della concezione
(secondo Igor Markevitch la Nona rappresenta «il massimo
sforzo di sintesi e rinnovamento che mai sia stato compiuto nella
storia della Sinfonia»), che determinò la successiva evoluzione del
sinfonismo romantico fino a Mahler, in questa Sinfonia Beethoven
ritorna allo stile eroico della Terza, composta tra il 1803 e il
1804, e sperimenta le sue audaci innovazioni rimanendo all'interno di
un modello classico, come aveva già fatto nella Hammerklavier,
portando la forma sinfonica ereditata dalla tradizione tedesca ai
limiti estremi in senso dinamico ed espressivo. La solidissima unità
strutturale dell'insieme deriva dal sapiente trattamento dei percorsi
tonali, ma anche dal ricorso a matrici comuni per la sagomatura dei
diversi temi: «tutti i temi tipici della Sinfonia - osserva Vincent
D'Indy - presentano l'arpeggio degli accordi di re o di si bemolle,
le due tonalità di base dell'opera; si potrebbe, di conseguenza,
considerare questo arpeggio il vero tema ciclico della Nona
Sinfonia». La convenzionalità del linguaggio armonico e della
superficie formale, con una forma-sonata nel primo movimento, uno
Scherzo nel secondo (con fugato e doppia ripetizione) e due serie di
variazioni nell'Adagio e nel Finale, non impedisce a
Beethoven di superare i modelli preesistenti e di individuare un
percorso formale nuovo e di immediato impatto all'ascolto.
Una delle novità più rilevanti di
questa Sinfonia, che non si limita a concludere un grande ciclo ma
appare come la sublimazione dell'arte beethoveniana, è il
superamento dello schema sonatistico dei due temi contrapposti a
favore di un'elaborazione più complessa che non solo mette in gioco
materiali diversi ma moltiplica i livelli di contrapposizione.
Ne è un esempio il primo
movimento, Allegro ma non troppo, nel quale secondo Mila si
potrebbero contare fino a cinque temi differenti, «perché in realtà
non si tratta di semplici temi [...] a rigore si deve parlare di tre
"gruppi tematici", cioè di tre complessi di idee
strettamente embricate l'una all'altra». In questo movimento la
tradizionale forma-sonata si trasforma quindi in un organismo
musicale nel quale i temi si presentano a gruppi, formando un
serbatoio di elementi per l'elaborazione, ed esposizione e sviluppo
si trovano strettamente congiunti, producendo un continuo fermentare
di motivi e di sequenze ritmico-armoniche. Anche la ripresa presenta
al suo interno una sorta di sviluppo che suscita nuove tensioni,
contribuendo a fare di questo movimento non un'arcata in sé
conchiusa, ma un segmento di una grandiosa arcata che abbraccia
l'intera Sinfonia.
Il secondo movimento non è, come
voleva la tradizione, un tempo lento, ma uno Scherzo, Molto
vivace, che si contrappone quindi al movimento precedente non sul
piano agogico ma su quello espressivo: dopo un Allegro dal
tono cupo e drammatico, questa pagina appare come un turbinio
danzante e gioioso, nel quale fanno il loro ingresso anche i
tromboni, assenti nel primo movimento. Dopo le otto battute iniziali,
in cui è esposta una brevissima cellula ritmica, prima dagli archi,
poi dai timpani, quindi da tutta l'orchestra, il tema principale
emerge in forma di fugato, in pianissimo, innescando un
meccanismo di progressiva stratificazione timbrica. Anche in questo
movimento, molto più esteso di un tradizionale Scherzo, è presente
una sezione di sviluppo, e la funzione del Trio è affidata ad
un Presto in 4/4, introdotto da un disegno staccato del
fagotto sul quale oboi e clarinetti espongono un calmo motivo di otto
battute che anticipa il tema della Gioia.
Dopo due tempi movimentati, l'Adagio
molto e cantabile, in si bemolle maggiore, si presenta come una vera
e propria oasi lirica, che introduce l'elemento della cantabilità
attraverso due temi intensamente espressivi, i quali imprimono al
movimento un sentimento di dolore e di contemplazione che ricorda
la Missa Solemnis. Una cantabilità ancora senza voce, anche se
il compositore aveva forse inizialmente progettato, stando a quanto
sostiene George Grove, di fare entrare il coro già in questo
movimento, in coincidenza con la enunciazione del secondo tema. Dal
punto di vista formale, alla struttura del Lied Beethoven
sovrappone quella della variazione, individuando un modello che
adotterà anche nei tempi lenti degli ultimi Quartetti per archi. La
raffinatissima trama strumentale è illuminata da un'orchestrazione
sempre cangiante, che si basa sul continuo scambio tra legni e archi,
e che concorre a creare un'atmosfera estatica, appena increspata da
un'improvvisa fanfara delle trombe nella parte conclusiva.
Ma è nell'ultimo movimento, Presto,
che l'impulso al canto trova il suo sfogo e si materializza
nell'inserimento delle voci soliste e del coro, infrangendo le
barriere del genere sinfonico. Culmine dell'intera Sinfonia,
questo Finale si snoda attraverso sezioni molto marcate e
nettamente contrastanti: all'inizio compaiono brevi reminiscenze
orchestrali dei movimenti precedenti, con temi che vengono accennati
e immediatamente abbandonati; poi, lentamente, prende forma il tema
della Gioia, che inizialmente si presenta appena abbozzato (in
quattro battute) da oboi, clarinetti e fagotti, su un pedale dei
corni, per poi espandersi in tutta l'orchestra e nelle voci. Negli
abbozzi per il recitativo del basso (sulle parole «O Freunde, nicht
diese Töne!») che precede l'esposizione cantata del tema della
Gioia, Beethoven esplicita il significato simbolico e musicale del
rifiuto dei movimenti precedenti, quasi una catarsi rispetto ai
ricordi di lotte e tragedie, e scrive: «No, questo caos ci ricorda
la nostra disperazione. Oggi è un giorno di celebrazione,
celebriamolo con canti e danze».
Il resto del movimento si dipana
quindi festosamente intrecciando al celebre tema corale, quattro
distinti episodi: il primo costruito come un'elaborazione polifonica
del tema stesso, il secondo che lo trasforma in passo di Marcia,
sottolineato da un'orchestrazione turchesca (con grancassa, piatti e
triangolo), il terzo che introduce un nuovo tema (Andante maestoso)
sulla penultima strofa dell'Ode «Seid umschlungen Millionen», il
quarto che combina contrappuntisticamente il tema della Gioia con
quello del terzo episodio, dando vita ad una doppia fuga che porta
alla trionfale conclusione.
L'Ode di Schiller trovò quindi
finalmente posto nella Nona Sinfonia. Ma nel metterla in musica
Beethoven ne fece un libero arrangiamento, utilizzando solo una parte
delle strofe e omettendo alcuni versi: quelli dionisiaci che
inneggiavano al vino, e quelli che parlavano troppo esplicitamente
della libertà dalle catene dei tiranni e della magnanimità verso il
malvagio, versi evidentemente non politically correct in
un'epoca di Restaurazione. Secondo Mila l'intenzione segreta di
Beethoven era quella di celebrare non la Freude (gioia),
bensì la Freiheit (libertà), e questa ipotesi è
supportata da un quaderno del 1812 nel quale è annotato un verso
dell'Ode di Schiller che Beethoven intendeva mettere in musica:
«Bettler werden Fürstenbrüder» (i mendicanti saranno fratelli di
principi) che poi diventò il più evangelico e generico «Alle
Menschen werden Brüder» (tutti gli uomini saranno fratelli).
Rielaborando il testo di Schiller Beethoven ottiene una sorta di
sceneggiatura drammatica che ci pone all'inizio davanti alla Gioia,
incarnazione della madre nutrice («Freude trinken alle Wesen / An
den Brüsten der Natur»), che abbraccia tutta l'umanità («Alle
Menschen werden Brüder / Wo dein sanfter Flügel weilt») e prepara
il loro ricongiungimento con il padre («Brüder, über'm Sternenzelt
/ Muss ein lieber Vater wohnen»). Il tripudio musicale dell'ultimo
movimento (nel quale Maynard Salomon vede fuse insieme quattro
componenti caratteristiche dell'ultimo stile beethoveniano: il canto,
la danza, la variazione e la fuga) diventa così festosa enunciazione
di un messaggio di libertà di fratellanza universale, che riprende
da Schiller l'ideale di una nuova società.
Per il poeta tedesco,
convinto seguace di Kant, lo scopo dell'arte era quello di
indirizzare l'umanità verso un nuovo ordine sociale, verso una nuova
forma di armonia e di pace, che avrebbe permesso il libero sviluppo
di tutte le potenzialità umane. Sposando questo modello utopico
Beethoven, nella Nona, dà quindi una soluzione di stampo
illuministico e ideologico allo scetticismo e ai laceranti conflitti
che caratterizzavano tante opere precedenti, attraverso immagini
idealizzate, proiettate nel futuro. La complessa struttura musicale
della Sinfonia, data anche dalle sottili correlazioni tematiche tra i
primi tre movimenti e il Finale, si può allora leggere come un
vero percorso drammaturgico, una visione cosmica che va dalle tenebre
alla luce. E che rivela una sostanza etica, oltre che estetica.
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