Filumena Marturano è una Commedia teatrale in tre Atti scritta nel 1946 da Eduardo De Filippo.
Napoli. Filumena, una donna matura con un passato da prostituta, è stata per venticinque anni la mantenuta di don Domenico (Mimì) Soriano, ricco pasticciere napoletano e suo cliente di vecchia data. Di fatto Filumena amministra i beni e la casa di lui come una vera e propria moglie.
Per costringere don Mimì al matrimonio e ad abbandonare la sua condotta dissoluta, Filumena si finge morente, coinvolgendo nell'inganno un medico e il prete che celebrerà il matrimonio in articulo mortis con Domenico che, credendola in fin di vita, la sposa con la prospettiva di un breve legame. La scoperta dell'inganno sconvolge l'uomo che intanto aveva intessuto una relazione con una giovane donna di ventidue anni, Diana, addirittura affidando a questa le cure di Filumena – falsamente agonizzante e incosciente – che così assiste, durante la finzione, alle effusioni scambiate tra i due. Alla reazione di Mimì, Filumena mette le carte in tavola: gli racconta di avere tre figli, frutto di un giuramento fatto alla Madonna delle Rose di non abortire, e di aver rinunciato a cambiare vita con un altro uomo che l'avrebbe sposata, sperando nella fine del precedente matrimonio di Soriano, che intanto aveva comunque provveduto per gelosia ad allontanare Filumena dalla casa di tolleranza.
L'atto si conclude con lo sfogo di Filumena che allontana Diana in malo modo e che chiede a Mimì il riconoscimento della paternità dei tre figli, che aveva cresciuto sino allora sottraendo a Domenico piccole somme, per dare ad essi un futuro sereno. Mimì infuriato si allontana con il proposito di voler fare di tutto per ottenere l'annullamento del matrimonio.
Domenico chiama in casa un Avvocato che lo rassicura della nullità del matrimonio celebrato con l'inganno. Filumena, che nel frattempo aveva fatto chiamare i figli per sistemarli in casa ed averli così vicino a sé, davanti al trionfo di Domenico gli esprime il proprio disprezzo, rinfacciandogli l'ingratitudine verso di lei che si è occupata per tanti anni di lui e dei suoi affari. Racconta poi l'infanzia povera e infelice da lei trascorsa nel vico San Liborio che la portò per fame a prostituirsi e comunica ai tre giovani di essere la loro madre. I tre reagiscono sbalorditi alla rivelazione della donna, ma uno di loro l'accoglierà in casa sua.
Rimasti soli, Filumena rivela a Domenico che uno dei tre è suo figlio, ma egli non le crede. La donna allora gli ricorda di quando una notte volle amarlo di un amore vero che lui non capì, pagandola come al solito con una banconota che Filumena ha conservato e sulla quale ha segnato la data del concepimento di suo figlio: ora, dopo aver strappato la parte con la data restituisce il denaro a don Mimì «…perché i figli non si pagano» e va via di casa in un moto d'orgoglio.
Don Mimì e Filumena hanno deciso di sposarsi: ma l'uomo ancora non conosce chi è il suo vero figlio e cercherà inutilmente di scoprire quale dei tre possa essere. Filumena non glielo dirà mai perché sa che don Mimì dedicherebbe solo a lui le sue attenzioni, favorendolo a scapito degli altri due e facendo nascere dissidi tra i ragazzi.
Quindi, se don Mimì vuole essere padre di suo figlio, lo dovrà essere per tutti e tre indistintamente perché «'E figlie so' ffiglie… E so' tutte eguale…». Sulle prime Domenico sembra allontanarsi nuovamente e il matrimonio rischia quindi di andare a monte, ma proprio nel momento in cui l'uomo sta per spiegare la situazione ai tre giovani si sente da questi chiamare per la prima volta "papà". Commosso da quel riconoscimento di paternità che non si aspettava, Domenico si rassegna e sposa Filumena, che per la prima volta non tratterrà le sue lacrime.
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