L'Opera fu rappresentata ad Atene pochi
anni dopo, probabilmente nel 403 a.C., sotto la direzione del
figlio (o nipote) dell'Autore, chiamato anch'egli Euripide. Venne
messa in Scena nell'ambito di una trilogia che comprendeva
anche Alcmeone a Corinto (oggi perduta) e Ifigenia in
Aulide. Tale trilogia di opere fruttò all'autore una vittoria
postuma alle Grandi Dionisie di quell'anno.
Dioniso, dio del vino, del teatro
e del piacere fisico e mentale in genere, era nato dall'unione tra
Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia le sorelle della donna e il
nipote Penteo (re di Tebe) per invidia sparsero la
voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da una relazione
tra Semele e un uomo mortale, e che la storia del rapporto con Zeus
era solo uno stratagemma per mascherare la "scappatella".
In sostanza, quindi, essi negavano la natura divina di Dioniso,
considerandolo un comune mortale.
Nel prologo della Tragedia, Dioniso
afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere tutta Tebe di
essere un dio e non un uomo. A tale scopo per prima cosa ha indotto
un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite
sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso
stesso (diventando quindi Baccanti, ossia donne che celebrano i
riti di Bacco, altro nome di Dioniso).
Questo fatto però non convince Penteo:
egli rifiuta pervicacemente di riconoscere un dio in Dioniso, e lo
considera solo una sorta di demone che ha ideato una
trappola per adescare le donne. Invano Cadmo (nonno di
Penteo) e Tiresia (indovino cieco) tentano di dissuaderlo e
di fargli riconoscere Dioniso come un dio. Il Re di Tebe fa allora
arrestare lo stesso Dioniso (che si lascia catturare volutamente) per
imprigionarlo, ma il dio scatena un terremoto che gli permette di
liberarsi immediatamente.
Nel frattempo dal monte Citerone
giungono notizie inquietanti: le donne che compiono i riti sono in
grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e in un
momento di furore dionisiaco si sono avventate su una mandria di
mucche, squartandole vive con forza sovrumana. Hanno poi invaso
alcuni villaggi, devastando tutto, rapendo bambini e mettendo in fuga
la popolazione. Dioniso, parlando con Penteo, riesce allora a
convincerlo a mascherarsi da donna per poter spiare di nascosto le
Baccanti. Una volta che i due sono giunti sul Citerone, però, il dio
aizza le Baccanti contro Penteo. Esse sradicano l'albero sul quale il
re si era nascosto, si avventano su di lui e lo fanno letteralmente a
pezzi. Non solo, ma la prima ad infierire su Penteo, spezzandogli un
braccio, è sua madre Agave.
Questi fatti vengono narrati a Cadmo da
un messaggero che è tornato a Tebe dopo aver assistito alla scena.
Poco dopo arriva anche Agave, munita di un bastone sulla cui sommità
è attaccata la testa di Penteo che lei, nel suo delirio di Baccante,
crede essere una testa di leone. Cadmo, sconvolto di fronte a quello
spettacolo, riesce pian piano a far rinsavire Agave, che infine si
accorge con orrore di ciò che ha fatto. A quel punto riappare
Dioniso ex machina, che spiega di aver architettato questo piano
per punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo
e Agave a essere esiliati in terre lontane. Con l'immagine di Cadmo e
Agave che, commossi, si dicono addio, si conclude la vicenda.
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