Mentre i filistei tengono feste in
onore del dio Dagon, Sansone cieco e in catene si riposa dal suo
lavoro da schiavo e piange il suo destino. Gli israeliti osservano
l'eroe un tempo invincibile giacere ormai senza speranza. Michea vede
la sorte di Sansone riflettere quella dell'intero popolo. Sansone si
rimprovera di essersi lasciato ingannare da una donna e lamenta la
perdita della vista. Il padre Manoach si reca a visitarlo e si
spaventa del cambiamento del figlio. Sansone desidera la morte, ma il
coro degli israeliti lo rassicura che alla fine trionferà sulla
morte e sul tempo.
Michea e gli israeliti implorano Dio di
considerare le pene del suo servo. Dalila, che ha tradito Sansone,
torna per riconquistarne l'amore, ma egli non crede al suo pentimento
e la respinge. Giunge allora Harafa il filisteo a provocare Sansone,
che lo sfida a duello. Harafa però lo offende proclamando indegno di
lui battersi con un cieco, e Sansone lo deride come millantatore.
Michea propone perciò di misurare la potenza di Dagon con quella del
Dio d'Israele e i cori di ambo i popoli lodano le rispettive
divinità.
Harafa vorrebbe prelevare Sansone per
esibirlo alla festa dei filistei. Sansone dapprima rifiuta di
presenziare ai riti religiosi, ma poi vi si reca con un piano e
ammonisce gli israeliti di tenersi lontani. Manoach si reca dagli
israeliti con un piano per liberare Sansone, mentre da lontano si
odono i canti dei filistei che invocano Dagon. Improvvisamente si
sentono strepito e agitazione. Giunge un messaggero israelita che
riferisce l'accaduto: Sansone ha demolito le strutture allestite per
la festa e sotto di esse ha sepolto sé stesso con tutti i filistei.
Il corpo di Sansone è estratto dalle macerie e gli israeliti
intonano una marcia funebre. Infine benedicono Yahweh.
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