- Allegro con brio
- Marcia funebre. Adagio assai (do minore)
- Scherzo. Allegro vivace
- Allegro molto
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 3 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Composizione: 1803
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 7 Aprile 1805
Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1806
Dedica: Principe Max von Lobkowitz
Composizione: 1803
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 7 Aprile 1805
Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1806
Dedica: Principe Max von Lobkowitz
Se lo spirito della rivoluzione
francese e gli ideali repubblicani di eguaglianza, libertà,
fraternità, sono presenti in tanta parte della produzione musicale
di Beethoven, soprattutto attraverso connessioni con molteplici
lavori letterari, pure questi fattori si palesano in una chiara
affermazione politica solamente nella partitura della Sinfonia
n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55, grazie al riferimento diretto di
questa Sinfonia alla figura di Napoleone Bonaparte. Anche
accantonando l'idea - affermata da Schindler ma improbabile - che
fosse stato il futuro re di Svezia Bernadotte a suggerire al
compositore, nel 1798, una Sinfonia su Bonaparte, l'intenzione di
Beethoven di trasferirsi in Francia nel 1803 e sicure tracce
epistolari confermano che Napoleone doveva essere non solo e non
tanto il dedicatario della Sinfonia (circostanza occasionale e
secondaria), quanto piuttosto il suo ispiratore ed intestatario.
Almeno queste erano le intenzioni dell'autore quando, fra la fine del
1802 e l'inizio del 1804, attese alla stesura della partitura.
Fiumi di inchiostro sono stati versati
per narrare e commentare la mancata intitolazione della sinfonia a
Napoleone. Converrà riassumere i termini della questione, partendo
ancora una volta dal racconto di Ferdinand Ries - allievo, amico e
poi biografo del compositore:
«A proposito di questa Sinfonia
Beethoven aveva pensato a Napoleone, ma finché era ancora primo
console. Beethoven ne aveva grandissima stima e lo paragonava ai più
grandi consoli romani. Tanto io, quanto parecchi dei suoi amici più
intimi, abbiamo visto sul suo tavolo questa sinfonia già scritta in
partitura e sul frontespizio in alto stava scritta la parola
"Buonaparte" e giù in basso "Luigi van Beethoven"
e niente altro. Se lo spazio in mezzo dovesse venire riempito e con
che cosa, io non lo so. Fui il primo a portargli la notizia che
Buonaparte si era proclamato imperatore, al che ebbe uno scatto d'ira
ed esclamò: "Anch'egli non è altro che un uomo comune. Ora
calpesterà tutti i diritti dell'uomo e asseconderà solo la sua
ambizione; si collocherà più in alto di tutti gli altri, diventerà
un tiranno!" Andò al suo tavolo, afferrò il frontespizio, lo
stracciò e lo buttò per terra.»
Il racconto di Ries, databile al maggio
1804, mese dell'incoronazione di Napoleone, è considerato
generalmente attendibile da tutti gli storici; anche perché sembra
confermato da un manoscritto non autografo della Sinfonia, dove,
nell'intestazione, le parole "Intitulata Bonaparte" sono
raschiate in modo da essere quasi illeggibili. Ma un'altra
annotazione a matita sul medesimo frontespizio, certamente
posteriore, "Geschrieben auf Bonaparte" ("scritta su
Bonaparte") indica come il riferimento all'uomo che aveva
diffuso in tutta Europa, con le sue gesta militari, gli ideali
rivoluzionari non poteva essere del tutto cancellato dalle intenzioni
dell'autore. Lo conferma anche il fatto che in una lettera del 26
Agosto 1804 agli editori Breitkopf e Härtel (dunque tre mesi dopo
l'episodio narrato da Ries) il compositore poteva scrivere: "La
Sinfonia, a dir il vero, è intitolata Bonaparte".
Di lì a poco sarebbe stata
probabilmente la guerra franco-austriaca del 1805 a spingere
Beethoven a far prevalere i sentimenti patriottici su quelli
rivoluzionari. Così l'edizione a stampa della Sinfonia, apparsa nel
1806, omette il riferimento diretto a Bonaparte, e recita: "Sinfonia
Eroica [...] composta per festeggiare il sovvenire di un grand'Uomo".
Difficile interpretare questo titolo nel senso che il "sovvenire"
voglia significare "rimembranza" e, con la marcia funebre
del secondo tempo, si riferisca al ricordo di quello che era stato il
primo console. Più probabile che con "sovvenire" l'autore
intendesse la "memoria" in senso celebrativo; intendesse
insomma celebrare l'immagine di un eroe; ma non di un eroe astratto,
quanto piuttosto di un ideale di eroe che si era concretamente
incarnato in Napoleone.
Altro discorso è quello di come questo
pensiero politico potesse inverarsi all'interno di una partitura
musicale. Già larga parte della produzione cameristica dell'autore
aveva riflettuto in termini musicali un conflitto di alte tensioni
etiche. Tuttavia, proprio a partire dall'Eroica, è al genere della
Sinfonia che il compositore doveva affidare soprattutto il compito di
veicolare i suoi ideali illuministici, sconvolgendo di fatto gli
obiettivi puramente intrattenitivi che avevano fino allora
contraddistinto il genere sinfonico anche nelle sue forme più
raffinate e impegnate, quali le ultime Sinfonie di Mozart; e che, di
fatto, avevano ancora interessato le prime due compiute esperienze
sinfoniche di Beethoven. Nata come genere di intrattenimento per
udienze esclusivistiche, la Sinfonia veniva caricata così di
significati estremamente più complessi ed ambiziosi. In che modo ciò
potesse avvenire lo ha spiegato nel 1918, in termini nitidissimi, il
musicologo tedesco Paul Bekker:
«Beethoven modifica la destinazione
del genere sinfonico, nel senso che esso, se fino a quel momento
serviva come intrattenimento per un ambiente ristretto e chiuso,
supera ora questi limiti e diventa oggetto di discussione per una
moltitudine finora sconosciuta, totalmente nuova nel numero e nella
sua composizione. Lo schema tecnico musicale secondo il quale
Beethoven scrive le sue Sinfonie è, nei caratteri fondamentali,
quello tradizionale. La novità rivoluzionaria, grazie alla quale la
Sinfonia di Beethoven rappresenta per noi l'inizio di una nuova era
musicale, sta nel fatto che - se posso servirmi di una definizione
drastica -Beethoven compone non una nuova musica, ma un nuovo
uditorio. La Sinfonia di Beethoven viene concepita partendo dall'idea
di un uditorio completamente nuovo. Tutte le differenze in senso
strettamente musicale rispetto ai predecessori si possono spiegare,
in parte persino riconoscere, come riflessi dell'idea dell'uditorio
che è loro alla base. L'immagine ideale di un uditorio per il quale
Beethoven scrisse, e da cui attinse la forza e l'impeto delle sue
idee, fu un'ulteriore elaborazione del grande movimento democratico
che dalla Rivoluzione francese condusse alle guerre di liberazione
tedesche. Elaborazione come si presentò allo spirito di Beethoven.
Possiamo percepirla ogni volta di nuovo quando viviamo in noi stessi
la potenza catartica e solenne di una Sinfonia di Beethoven, poiché
in tali momenti noi stessi diventiamo il pubblico per il quale
Beethoven ha composto, la comunità cui egli parla.»
Lo slancio delle parole di Paul Bekker
- scritte mentre l'Europa usciva dal primo conflitto mondiale e
credeva di avviarsi verso la pace - sembra figlio di un intero secolo
di idealismo, sommato a una solidità di analisi scaturita dalla
musicologia positivistica. E tuttavia concetti simili li ritroviamo -
come suggerisce Carl Dahlhaus - già nel 1802, nel Musikalisches
lexicon di Christoph Koch: «Poiché la musica strumentale non è
altro che imitazione del canto, la Sinfonia in specie, prende il
posto del coro e perciò, come il coro, ha lo scopo di esprimere i
sentimenti di una intera moltitudine».
Dunque la Sinfonia "Bonaparte"
doveva parlare di un eroe portatore di nuovi valori, rivolgendosi a
un uditorio ideale. A tali obiettivi straordinari ed inediti doveva
corrispondere anche un rinnovamento della forma sinfonica e del suo
stesso linguaggio, che solo avrebbe potuto realizzare in musica tanta
altezza d'intenti. Ecco dunque che nuove sono le dimensioni dei
quattro movimenti, che dilatano la Sinfonia verso una lunghezza
monumentale, del tutto ignota a Mozart e Haydn; nuova è la
strumentazione, che vede i fiati affrancati dalla funzione di
sostegno armonico e inseriti nel gioco di elaborazione motivica, il
che vuoi dire che il linguaggio dell'orchestra diviene "sinfonico"
in senso moderno; nuova è soprattutto la logica secondo cui viene
condotto il discorso musicale, logica che supera i principi di nitida
dialettica tematica che innervavano la Sinfonia d'intrattenimento.
Tali novità si impongono
immediatamente nel movimento iniziale, il gigantesco Allegro con
brio sulla cui analisi si sono soffermati, in modo tutt'altro
che univoco, decine e decine di commentatori. Due grandi "colpi"
orchestrali fungono da sipario per quanto segue, affermando la
tonalità di mi bemolle con una nitidezza che presto verrà
appannata. Come si è accennato, la dialettica classica vedeva
contrapposti, all'interno della "forma sonata", due temi
principali, e alcune idee secondarie, che si confrontavano in modo
piuttosto distinto. Nell'Eroica questo principio viene meno, nel
senso che le varie idee tematiche non sono fra loro contrapposte, ma
germinano l'una dall'altra, secondo un processo di continua
tensione-distensione. La stessa idea principale - l'arpeggio dei
violoncelli che si presenta all'inizio - difficilmente può essere
considerato un vero "primo tema", ma piuttosto una cellula
neutra, da cui scaturiranno l'una dopo l'altra le varie idee. E
infatti il vero principio costruttivo del movimento lo troviamo
subito dopo, quando l'armonia di mi bemolle che era rimasta
inalterata per le prime sei battute, scivola in un cromatismo e si
increspa nelle note sincopate dei violini (la sincope è uno
spostamento d'accento che crea dinamismo). Ecco dunque l'idea di
base: l'instabilità, la tensione continuamente rinnovata, che vuole
tradurre appunto in termini musicali quella tensione ideale di cui si
diceva. Tutte le altre idee tematiche (un dolce dialogo dei legni con
i violini; una lunga serie di note ribattute dei fiati; una melodia
ascendente e cromatica) costituiscono ciascuna una tappa diversa di
questo percorso di instabilità.
Se questa è l'esposizione, la sezione
dello sviluppo, in cui l'autore deve rielaborare le idee
precedentemente esposte, appare altrettanto ambiziosa, e si segnala
per le sue proporzioni (250 battute). Beethoven vi riutilizza quasi
tutte le idee già udite (tranne l'ultima, la melodia ascendente e
cromatica), evitando però di attribuire loro delle chiare cesure
cadenzali, portandole verso peregrinazioni lontane, attraverso un
percorso conflittuale che, se non rinnega i principi
dell'esposizione, pure attribuisce orizzonti non ancora esplorati a
quelle idee. Se è impossibile una descrizione pedissequa di questo
percorso, occorre segnalare in esso almeno due momenti: una vasta
sezione in minore, con un dinamico fugato basato su un tema nuovo, e
il passaggio che conduce alla riesposizione. In questo passaggio il
conflitto fra le varie idee si è progressivamente spento, e su un
tremolo degli archi entra, come in lontananza, il corno, riproponendo
l'arpeggio che aveva dato il via a tutta la Sinfonia; il punto è che
archi e corno portano con sé due armonie differenti, contraddicendo
alle regole della buona composizione; e proprio questa
sovrapposizione armonica crea un effetto di dissolvenza che porta
alla riesposizione.
Appunto la riesposizione attribuisce un
nuovo significato al materiale fino a questo momento udito. Il grande
"viaggio" dello sviluppo ha come rigenerato il materiale
tematico, che non si ripresenta più, come nella sinfonia classica, a
ribadire l'ordine primigenio, ma invece viene presentato in modo da
stemperare le tensioni accumulate, a appianare le ostilità del
percorso, in modo da portare a una chiara e forte affermazione. Anche
laddove il discorso procede in modo parallelo a quello
dell'esposizione, Beethoven provvede a nuovi aggiustamenti
coloristici, con una strumentazione che porta spesso in primo piano
il corno, soprattutto per lo pseudo-primo tema. Chiude il movimento
una vasta coda, adeguata per proporzioni a quanto precede, in cui un
calibrato crescendo porta a una esplosione vitalistica.
Come nella Sonata per pianoforte
Op. 26, Beethoven sceglie, per il tempo lento della Sinfonia, la
forma della marcia funebre, che, da una parte rimanda in senso
lugubre alle tante marce rivoluzionarie della musica francese,
dall'altra getta un ponte verso altre pagine di consimile luttuosità,
come la marcia funebre che apre la Quinta Sinfonia di
Mahler, o Metamorphosen di Strauss, dove 23 strumenti ad
arco intrecciano polifonie che conducono, attraverso una progressiva
chiarificazione, al tema principale di questa Marcia funebre
dell'Eroica, come simbolo di una civiltà che esce prostrata dalla
guerra, alla ricerca delle proprie radici.
Pagina simbolo di una civiltà, dunque,
attraverso il "sovvenire" dell'eroe latore di un messaggio
ideale. Sono gli archi a proporre il ritmo di questa marcia in do
minore (importante il sostegno dei contrabbassi), in una prima
sezione di granitica coerenza. Ed ecco che il minore diventa maggiore
per la sezione del Trio, dove, sulle morbide terzine "napoletane"
degli archi, i legni dipanano limpidi e nostalgici intrecci. Si
giunge così alla sezione dello sviluppo, dove il ritorno del tema di
marcia cede subito ad un lungo e solenne fugato, per seguire poi le
tracce di sempre rinnovati bagliori. A una riesposizione resa più
intensa da una più fitta strumentazione, segue la coda, in cui Trio
e Marcia figurano in posizione invertita, lasciando spegnere il
movimento sui frammenti del ritmo che lo aveva aperto.
Il movimento meno complesso della
Sinfonia è certamente lo Scherzo; pagina che, tuttavia, si
presta a qualche ambiguità di interpretazione. Se la sua scrittura
aerea e trapuntata precorre Mendelssohn, troviamo in esso sia quel
principio di increspamento cromatico che si imponeva già nel tempo
iniziale, sia, nella sezione del Trio, una robusta fanfara di corni
intorno all'arpeggio di mi bemolle, che riecheggia la pseudo-prima
idea dell'inizio. In definitiva appare stimolante l'idea di Paul
Bekker che questo tempo costituisca una conversione verso una
scrittura leggera e quasi ludica di quei principi costruttivi che
erano alla base del primo tempo.
Si giunge così al finale, movimento
che si stacca nettamente rispetto ai modelli di Mozart e Haydn
innanzitutto perché adotta la forma di una libera variazione,
sostanzialmente assente dal sinfonismo classico (Beethoven la
reimpiegherà poi nella Nona Sinfonia). Ma, se per i suoi
"predecessori", la forma della variazione come finale,
nella musica da camera, implicava un alleggerimento dei contenuti
della composizione, in una dimensione di giocoso disimpegno,
Beethoven carica invece la variazione di complesse implicazioni
concettuali. Non a caso il tema di questo finale trova qui la sua
ultima collocazione dopo un "viaggio" che lo aveva visto
apparire in una raccolta di danze strumentali, in un ciclo di
variazioni pianistiche e, soprattutto, nel finale del balletto Le
creature di Prometeo che il compositore aveva creato, nel 1801,
per la coreografia del sommo Salvatore Viganò.
Se è vero che il finale del balletto
non vedeva in scena il personaggio di Prometeo ma piuttosto quello di
Bacco, è difficile resistere alla tentazione di seguire ancora
Bekker nello stabilire una sorta di sovrapposizione, di coincidenza,
fra il mito di Prometeo (l'uomo che aveva portato sulla terra le
arti, le scienze, la civiltà) e quello dell'eroe latore di valori
universali. Coincidenza che chiarisce, se ce ne fosse bisogno, il
significato ideale della Sinfonia.
A conferire la sua ingegnosità a
questo finale è il fatto che esso non si basa su un tema solo, ma
piuttosto su due temi che sono in relazione fra di loro. Dopo una
rapida introduzione animata da una vibrante cascata di note, sono gli
archi a proporre, in pizzicato, il primo dei due temi, subito ripreso
in contrattempo, e interrotto da vigorosi ribattuti dei fiati; ma
questo primo intervento costituisce già di per sé una prima
variazione di un tema "a priori", che non viene enunciato.
La seconda variazione introduce un contrappunto degli archi. La terza
variazione coincide con l'apparizione del secondo tema, che chiarisce
la natura del primo: se il primo è la nuda linea del basso, il
secondo è la vera linea melodica, una sorta di canzone popolare
intonata dai legni. Una breve transizione conduce alla quarta
variazione, un serrato fugato basato sul primo dei due temi. Da
questo momento le variazioni diventano più complesse e non sempre
nitidamente scandite, portando in primo piano l'uno o l'altro dei
temi, se non entrambi; si distinguono soprattutto una vigorosa marcia
in minore, e una lunga sezione in Poco Andante, aperta dai
legni, che costituisce una sospensione lirica prima della
conclusione. Attraverso queste trasformazioni il movimento realizza
così una progressiva lievitazione espressiva, sigillata da una coda
insieme festosa, solenne e quasi trionfale. Non è, questo finale
dell'Eroica, il movimento in cui trovano sfogo tutte le tensioni
accumulate nella partitura, ma piuttosto l'ultimo quadro di un
polittico in cui mitologia e politica si sommano e si traducono in
termini puramente musicali, secondo una lezione che - partendo dai 28
esecutori che si applicarono alla prima esecuzione privata nel
palazzo del principe Lobkowitz, nell'Agosto 1804, fino alle moderne
orchestre sinfoniche - non ha mai cessato di dettare le sue alte
ragioni alle generazioni.
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