- Adagio molto - Allegro con brio
- Larghetto (la maggiore)
- Scherzo. Allegro
- Allegro molto
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Composizione: 1800 - 1802
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 5 Aprile 1803
Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1804
Dedica: Principe Karl von Lichnowsky
Composizione: 1800 - 1802
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 5 Aprile 1803
Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1804
Dedica: Principe Karl von Lichnowsky
I primi abbozzi della Seconda
Sinfonia, sulla base dei taccuini di lavoro, risalgono all'anno 1800
e si intensificano nel periodo che va dall'ottobre 1801 al maggio
1802; l'opera viene completata nell'estate durante la villeggiatura
trascorsa a Heiligenstadt (a quei tempi piccolo centro a nord di
Vienna) e presentata al pubblico della capitale il 5 aprile 1803
sotto la direzione dell'autore; il concerto, al Teatro an der Wien
era tutto di musiche di Beethoven: l'Oratorio Cristo al Monte
degli Ulivi, la Prima Sinfonia, la Seconda appunto, e
il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra.
Mentre nasce quest'opera pervasa di
energia e serenità, la vita di Beethoven attraversa uno dei momenti
più dolorosi e scoraggianti; è di quel tempo infatti il
manifestarsi della sordità dell'artista in forma acuta e la
conseguente decisione di abbandonare la carriera concertistica;
nonché la delusione sentimentale di essere stato rifiutato dalla
Contessina Giulietta Guicciardi. "Posso dire che faccio una ben
misera vita", scrive Beethoven all'amico Wegeler di Bonn, "da
quasi due anni evito compagnia perché non mi è possibile dire alla
gente: sono sordo!"; ma tutto ciò, lungi dal penetrare allo
stato grezzo nella composizione, si traduce in uno stimolo a
moltiplicare le sue possibilità espressive, a consegnarsi anima e
corpo alla sua vocazione creativa.
Infatti, nella Seconda Sinfonia i
contemporanei avvertirono subito qualcosa di eccessivo e sorprendente
rispetto alle loro abitudini di ascolto; l'opera "guadagnerebbe
ove venissero accorciati alcuni passi e sacrificate molte modulazioni
troppo strane", è il parere espresso dall'"Allgemeine
Musikalische Zeitung" nel 1804; e lo stesso autorevole foglio,
dopo una esecuzione del 1805, avverte ancora: "troviamo il tutto
troppo lungo, certi passaggi troppo elaborati; l'impiego troppo
insistito degli strumenti a fiato impedisce a molti bei passi di
sortire effetto. Il Finale è troppo bizzarro, selvaggio e rumoroso.
Ma ciò è compensato dalla potenza del genio che in quest'opera
colossale si palesa nella ricchezza dei pensieri nuovi, nel
trattamento del tutto originale e nella profondità della dottrina".
La Sinfonia, dedicata al fraterno amico
principe Carl von Lichnovsky, si apre con una straordinaria
introduzione lenta: dopo poche battute di cerimoniosa compostezza,
ecco che si avvia per campi armonici cangianti, presentando e subito
mettendo da parte frammenti e spunti melodici e ritmici sempre nuovi,
come fosse decisa a misurare i confini di una regione sconosciuta:
molto giustamente, Paul Bekker ci ha sentito dentro una sorta
d'"improvvisazione per orchestra"; di qui si dinamizza
l'Allegro con brio, basato su un'idea proposta sottovoce da viole e
violoncelli, un'idea che sfreccia inquieta, stretta parente del
nervosismo dell'Ouverture delle Nozze di Figaro mozartiane;
ma una quantità di altre idee, e talvolta solo di brevi accenni, ma
tutti di plastica evidenza, si stipano nella pagina in preda a un
vero entusiasmo costruttivo.
Il Larghetto che segue è da
considerare con la massima attenzione: esso rappresenta un sentimento
di compresenza fra il possesso di tutte le grazie del Settecento e la
consapevolezza di tenere in mano un bene perduto, un valore al
tramonto; assumerlo come stabile vorrebbe dire diluirlo in manierismo
stilistico (come avviene, ad esempio, nell'Andante della Sinfonia
op. 30 di Tomàsek che ne deriva); mentre in Beethoven proprio
lo scrupolo di trattenere ancora un poco un tesoro perituro dà
intima consistenza alla sviscerata piacevolezza di dialoghi, versetti
e arguzie della più sorridente socievolezza; in questa musica tutta
di materiali "settecenteschi", che tuttavia nelle loro
venature quasi avvertono un brivido di malinconia, forse nessuno, fra
i grandi interpreti moderni, s'era addentrato così a fondo come
Bruno Walter.
Puro ritmo, al contrario, è l'essenza
dello Scherzo, di geometrica economia di linee; mentre una vasta
ricapitolazione di tutti gli atteggiamenti espressivi della Sinfonia
è squadernata dal Finale, che parte da un tema che più di un
tema pare un gesto fulmineo e scontroso; certo simili corse, leggere
e crepitanti, specialmente Haydn aveva fatto conoscere; ma qui si
sbrigliano con un gusto per i contrasti, per gli ostacoli da
abbattere, che scuote da vicino il pacifico ascoltatore; siamo ancora
nei limiti del Finale giocoso, ma messo a soqquadro da una vena
umoristica turbolenta che ha ormai scavalcato la "vivacità".
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