- Mein Jesu, der du mich (Mio Gesù) - Allegro moderato (mi minore - maggiore)
- Herzliebster Jesu (Carissimo Gesù) - Adagio (sol minore)
- O Welt, ich muss dich lasse (Mondo devo lasciarti) - Andante (fa maggiore)
- Herzlich tut mich erfreuen (Mi reca dolce gioire) - Andante (re maggiore)
Fascicolo II
- Schmücke dich, o liebe Seele - Andante molto moderato (mi maggiore)
- Wie selig seid ihr - Molto moderato (re minore - maggiore)
- Gott, du frommer Gott (Oh Dio, tuo fedele Dio) - Allegretto (la minore)
- Es ut ein Ros' entsprungen (È sbocciata una rosa) - Andante (fa maggiore)
- Herzlicb tut mich verlangen - Poco adagio (la minore - maggiore)
- Herzlicb tut mich verlangen - Poco adagio (la minore - maggiore)
Seconda versione del n. 9 - Welt, ich muss dich lasse - Poco adagio (fa maggiore)
Seconda versione del n. 3
Ultima composizione di Brahms
Organico: organo
solo
Composizione: Ischl, estate 1896
Edizione: Simrock, Berlino, 1902
Composizione: Ischl, estate 1896
Edizione: Simrock, Berlino, 1902
Sono le ultime pagine composte da
Brahms: undici Preludi, concepiti, stesi e completati (tempi
incredibilmente ridotti per Brahms!) nella sola estate 1896, l'ultima
trascorsa ad Ischl. Questa volta è il critico Richard Heuberger ad
informare che Brahms li esegui la sera del 24 giugno, alla presenza
di pochi amici che trascorrevano la villeggiatura in
quell'incantevole stazione termale alle porte di Vienna. Qualche
studioso è sicuro che Brahms avesse intenzione di proseguire la
raccolta (pare volesse creare numerosi quaderni, come nel caso dei
«Deutsche Volkslieder»); ma l'autore la interruppe dopo questi
brani con l'intenzione, oltretutto, di non darli neppure alle stampe.
In una postilla del testamento era però previsto che ogni inedito
rinvenuto in casa, dopo la sua morte, divenisse proprietà
dell'editore Simrock, per cui quest'ultimo si prenderà la libertà
di pubblicarli postumi (nel 1902).
Due parole sulla Musica per Organo di
Brahms. Intorno al 1850 si ha notizia che il musicista avesse
intenzione di studiare questo strumento in modo serio per diventare
un «virtuoso organista»; e benché lo trovasse «difficile da
padroneggiare», fu colto da un trascinante furore (parole di Brahms)
ed iniziò a raccogliere pagine su pagine di composizioni-esercizi.
Brahms si avvicinò, come sappiamo, alla musica antica grazie
all'influenza di Schumann; proprio nel 1856 - poco dopo la scomparsa
del suo maestro spirituale - egli iniziò in effetti ad appuntare le
cosiddette «ottave e quinte», una serie di studi con audaci
soluzioni contrappuntistiche che attingeva dal repertorio del
passato. Tra le opere di maggior impegno formale citiamo il Preludio
e Fuga in Sol minore, un lavoro di indubbio interesse, che richiama
lo stile di autori tedeschi antichi (come Buxtehude o il giovane
Bach); citiamo la Fuga in La bemolle minore, pagina che spicca per
l'«alta ingegneria contrappuntistica», ma al contempo profondamente
sentita e ricca di commozione (opera completata nel 1856), riveduta e
pubblicata soltanto nel 1864). Citiamo infine la Fuga in La minore
(sempre del 1856 e sempre priva del numero di catalogazione) inviata
a Clara Schumann come pensiero d'augurio per il suo compleanno.
Sono lavori che dimostrano ingegno,
arte, poesia, dove passato e futuro vengono commensurati dal genio di
Brahms. Soprattutto in quest'ultimo caso il sofferto lavoro
contrappuntistico è dissolto nella più libera dimensione del
Preludio, mentre il soggetto della Fuga è sepolto sotto un diluvio
di note dal marchio innegabilmente brahmsiano.
Dopo questo periodo votato alla ricerca
di un passato, all'assimilazione di un'eredità da far rivivere,
all'affinamento delle armi in questo specifico campo, Brahms aveva
trascurato le composizioni per organo. Vi tornò, come si può
notare, negli ultimi mesi di vita quando decise di creare questa
piccola raccolta regalando cosi alla storia il suo ultimo messaggio.
Alcuni vi leggono un omaggio ideale a Clara, da poco scomparsa, altri
una specie di testamento spirituale dell'autore; in effetti, sul
piano delle energie spirituali, tutti possono cogliere un'indefinita
apprensione, una serpeggiante inquietudine, quella velata ma
onnipresente ombra della morte che si avverte nelle composizioni
simili, dal «Requiem», al «Begräbnisgesang», dalla «Rapsodia»
al «Canto del Destino», al «Canto delle Parche», «Nänie» e
numerosi Lieder sull'argomento. Su tutto aleggia «un alito di
morte», ha scritto qualcuno.
Fattore importante sul piano musicale:
la conferma, proprio attraverso questi saggi, della possibile
alleanza (improponibile a livello teorico!) di elementi barocchi con
una «Stimmung» romantica, un cortocircuito su cui fa cardine gran
parte della creatività brahmsiana. Malgrado la livellante dimensione
dell'organo, la componente romantica risulta da certi particolari
linguistici, ma soprattutto dall'atmosfera generale, quei toni
desolati (ma non disperati), quelle inflessioni rassegnate, quei
risvolti crudamente introspettivi che nessuna certezza riesce a
trasfigurare in ultraterrena letizia. Come dire, in altre parole: le
antiche tecniche del preludio a corale e della fuga trattate con
scrittura moderna, audace, personalissima.
Ogni Preludio rivendica una sua
peculiare fisionomia: in tutti i brani il virtuosismo è spogliato da
effetti non funzionali alla comunicazione spirituale, da soluzioni
che non tendano ad un'esaltazione dei testi ispiratori.
Qualche parola sui singoli brani. Un
cenno merita l'ampiezza interiore del quadro d'insieme («Mio Gesù»),
dove le singole frasi del corale sono intervallate da brevi ma
folgoranti incisi fugati: trattamento singolarmente esteso, secondo
lo stile dei Corali di Pachelbel. Un cenno ancora alla melodia
semplice e dimessa del n. 2 («Carissimo Gesù»), tramata su una
melodia di Johannes Kruger del 1640). Un cenno alla dimensione di
«adagiata serenità» del n. 3, pur in un contesto contrappuntistico
elaborato e ricco di trafitture armoniche («Mondo, devo lasciarti»,
su melodia di Heinrich Isaac del 1539). Ricordiamo ancora la
avvolgente «festevolezza», se pur tra zone di ombra e di luce, del
n. 4 («Mi reca dolce gioire»); il limpido, soave, lineare profilo
melodico del n. 5 (sempre su melodia di Kruger); per contro il
disegno conciso del n. 6 («epigrammatico», secondo Evans), una
riflessione sulla morte espressa attraverso due vettori opposti: la
distensione del canto e l'inquietudine dell'accompagnamento. A questo
punto due aperture nuovamente sommesse e pacifiche: indimenticabile
il tono popolare e confidenziale del n. 7 («Oh Dio, tuo fedele
Dio»), dove una pura e trascendente bellezza si sposa con un sano
vigore popolaresco; indimenticabile poi il personalissimo Preludio n.
8 («E sbocciata una rosa») sul celebre Inno di Michael Praetorius:
una pagina dove traspare, nella melodia che si culla su un ritmo di
berceuse, quello struggente intimismo di cui solamente Brahms è
capace. Nei Preludi n. 9 e n. 10 si trova la duplice versione di una
canzone popolare di H. Leo Hassler (1601), trasformata in corale da
Johann Hermann Schein (1627). Due tagli opposti: nel primo un
virtuosismo alla Bach sostiene una pagina dalla complessa
elaborazione barocca; nel secondo si coglie la dimensione del Corale
nella sua più astratta ed indefinita accezione. Restano, in fondo,
due brani-simbolo, perché contengono le caratteristiche, le
aspirazioni, le conquiste del tardo Brahms, caratterizzato da
raccoglimento, ricerca e concentrazione. Poetica tenerezza si trova
nell'epilogo, episodio di grande potere di commozione: un Corale
«ornato con discrezione» (come scrive Geiringer), impregnato di
sognante solitudine. Un quieto, infinito desiderio di morte unito ad
un affettuoso desiderio di rinascita: questo il messaggio estremo di
un Grande.
Prima esecuzione in pubblico, il 24
aprile 1902, a Berlino, da parte di Heinrich Reimann.
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