Il mito della principessa Arianna, abbandonata da Teseo
sull’isola di Nasso dopo averlo aiutato a vincere il Minotauro, è una delle
tematiche più frequenti nella storia dell’Opera; Haydn, con la sua Cantata “Arianna
a Nasso”, scritta per Voce e Pianoforte nel 1789, crea un accattivante Composizione
che mette in rilievo i vari aspetti del Dramma vissuto dalla principessa, la
trepidazione, l’ira, il dolore per l’amore perduto.
“Arianna a Nasso” viene eseguita a Londra a Febbraio del
1791 dal castrato Gasparo Pacchierotti e da Haydn al Clavicembalo; alla prima
pubblicazione curata nel 1790 dall’Editore viennese Artaria fa seguito un’Edizione
stampata a Londra da John Bland e messa in vendita il 10 Giugno 1791.
Si racconta che a Londra Haydn abbia eseguito la Cantata
accompagnando Fanny Nelson, la moglie di Horatio Nelson, nel loro primo
incontro; tuttavia è più probabile che l’Opera sia stata scritta per Josepha
von Genzinger, la figlia del Medico curante del Principe Esterházy.
La Cantata, composta da due Recitativi alternati a due Arie,
è focalizzata più sull’espressione drammatica che sull’abilità tecnica,
peraltro la gamma vocale poco estesa e la mancanza di ampi ornamenti fanno
credere a una scrittura destinata inizialmente per una cantante non
professionista.
Il Testo anonimo è impostato da Haydn per l’accompagnamento
con il Clavicembalo o il Fortepiano; tuttavia, nonostante l’ambientazione per
tastiera sia in grado di trasmettere con efficacia la difficile situazione
emotiva dell’eroina greca, lo stesso Compositore, in una missiva indirizzata
all’Editore John Bland, comunicava che avrebbe creato una versione per Voce e Orchestra.
Rimane un mistero questa mancata realizzazione.
La Cantata inizia con un Recitativo, “Teseo mio ben,
dove sei tu?”, lento, riflessivo, che raffigura il voluttuoso risveglio di
Arianna, il suo languore e l’impazienza per il ritorno di Teseo.
Segue l’Aria “Dove sei, mio bel tesoro?” dove Arianna
prega gli dei di condurre a lei l’amato.
La sua ansia è resa evidente dalla linea vocale esitante e
dalla discontinuità armonica dell’accompagnamento.
Intensamente drammatico è il secondo Recitativo, “Ma, a
chi parlo?”; ricco di improvvisi cambiamenti di tempo e modulazioni, termina
con un commovente Arioso, “Già più non reggo”. L’intensa sofferenza della
figlia di Minosse esplode nell’Aria finale “Ah! Che morir vorrei”; la sua
angoscia e il suo sdegno trovano enfasi nella insistente ripetizione della
frase conclusiva, “Chi tanto amai”.
Nessun commento:
Posta un commento