30 settembre 2024

MUSICA -J.S. BACH - MESSA IN SI MINORE - BWV 232


Messa in si minore, BWV 232

per soli, coro e orchestra

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Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Kyrie
  2. Gloria
  3. Credo
  4. Sanctus
  5. Agnus Dei
Organico: 2 soprani, contralto, tenore, basso, doppio coro misto, 2 flauti traversi, 3 oboi, 2 oboi d'amore, 2 fagotti, corno, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola, violoncello, basso continuo
Composizione: 1724 - 1749
Prima esecuzione: 23 luglio 1733
Edizione: Simrock, Bonn, 1845

È radicata in molti la convinzione che la Messa rappresenti un genere musicale specificamente legato alla confessione cattolica e che pertanto anche le messe bachiane costituiscano un "omaggio" alla tradizione romana e conseguentemente una deviazione dallo spirito e dalla liturgia luterane. In realtà, la prassi musicale ammetteva l'intonazione di mottetti latini e la realizzazione in stile concertante dei testi dell'Ordinarium Missae in particolari circostanze di carattere solenne. Al tempo di Bach sappiamo che a Lipsia nelle prime due feriae delle tre feste principali (Natale, Pasqua, Pentecoste), come pure nelle altre feste particolari dell'anno liturgico (e non, dunque, nelle domeniche ordinarie nel corso delle quali i testi latini erano intonati choraliter, cioè secondo lo stile del canto chiesastico), era consentito eseguire a più voci (figuraliter) il Kyrie, il Gloria e il Sanctus; nel caso dei primi due testi c'è da tenere presente che la terminologia corrente li designava globalmente con la parola Missa. Questo termine è appunto quello che compare nella partitura bachiana della cosiddetta Messa in si minore (BWV 232) per indicare le prime due parti della composizione, inviate dal Kantor nel 1733 al nuovo sovrano, il duca Federico Augusto II, per sollecitare una nomina nella cappella di corte, nomina poi avvenuta solo alla fine del 1736.
A Dresda, capitale del ducato di Sassonia nei cui confini è compresa anche Lipsia, vigeva una situazione alquanto anomala, poiché a dispetto della generale fede luterana dei suoi abitanti il sovrano era cattolico (il padre Federico Augusto I era stato politicamente costretto ad abbracciare il credo romano essendo stato eletto re di Polonia). La duplice confessione aveva portato alla creazione di due distinte cappelle di corte, una per i riti della chiesa luterana e l'altra per quelli della chiesa cattolica. Che le Messe o le sezioni di Messa scritte da Bach siano state proposte anche a Dresda non è documentato, ma se esse lo furono si può pensare che abbiano potuto avere una doppia destinazione.
Documento e monumento quasi sconcertante di una prassi che sposa con radicale severità l'arcaismo e la modernità è quello che da meno di un secolo e mezzo si è convenuto chiamare con l'espressione Die hohe Messe in H-moll o Grande Messa in si minore, un titolo che non compare nell'originale bachiano e nelle copie coeve, ma che venne attribuito all'opera da chi per primo ne propose l'edizione a stampa, nel 1833 (a cent'anni di distanza dalla "formazione" delle prime due partì) in quella circostanza era stata proposta solo la Missa in senso stretto (cioè Kyrie e Gloria) con la riserva di fare uscire l'anno seguente le restanti parti, che videro la luce, invece, nel 1845. È proprio in questo completamento del 1845 che compare la dizione di Hohe Messe, una sorta di ripresa in chiave tedesca del concetto di Missa solemnis fatto grande dall'Op. 123 beethoveniana. L'esegesi ha ormai spazzato via le ipotetiche datazioni un tempo accolte come sacre insieme con l'idea che l'opus magnum potesse essere stato presentato per l'incoronazione di Federico Augusto II a re di Polonia (col nome di Augusto III) nella lontana Cracovia il 17 gennaio 1734. Al tempo di Bach, la Messa nella sua totalità non conobbe esecuzione e l'autografo che ha tramandato il capolavoro riunisce soltanto una serie di brani scritti in tempi diversi e per destinazioni diverse. La nuova cronologia fissa al 1724 la composizione del Sanctus (tradizionalmente eseguito nel giorno di Natale); il 1733 è la data in cui Bach inviò al nuovo sovrano il Kyrie e il Gloria; le partì restanti - cioè il Credo (o Symbolum Nicenum come lo chiama Bach), l'Osanna (che nella liturgia di Lipsia non faceva parte del Sanctus), il Benedictus, l' Agnus Dei e il Dona nobis - risalirebbero agli ultimi anni (1747-'49), epoca alla quale deve essere ricondotta anche la sistemazione di tutto il materiale in un unico manoscritto, ma probabilmente senza pensare ad una Missa tota, bensì inseguendo il semplice intento di riunire in un unico manoscritto le parti dell' Ordinarium.
Al di sopra del problema "confessionale", sta la particolare natura di quello che già Carl Friedrich Zelter definiva nel 1811, «verosimilmente il più grande capolavoro musicale che il mondo abbia visto». Non è eccessivamente imprudente sostenere che quasi tutti i ventisei numeri di cui consta la partitura non sono pagine originali, ma parodie o adattamenti più o meno rilevanti di opere precedenti. Il fatto è appurato (o ritenuto assai probabile) in tredici casi, ma sussistono buone possibilità che quasi tutti i restanti brani siano elaborazioni di altre pagine perdute. Tanto più mirabile, comunque, appare l'opera bachiana se si considera che essa è tutta o in gran parte il frutto di un montaggio razionale e perfettamente equilibrato che sul piano dei risultati musicali s'impone come creazione originale ed unica. L'ambivalenza che è propria della tecnica della parodia e che la Messa in si minore porta in sé come un segno di grandezza pareggia quell'altra ambivalenza che sposa due riti e due confessioni e fonda in un unico corpo le due grandi espressioni del pensiero cristiano, la teologia della gloria di ascendenza cattolica e la teologia della croce di ascendenza luterana. Realizzata, dunque, in almeno tre distinti momenti (1724,1733,1747-'49) e uscita dalle mani dell'artifex come una aggregazione naturale di sostanze varie, come una concrezione o condensazione di elementi stilistici affini oppure contrapposti, l'opera è di quelle che più apertamente manifestano, nella sua quasi esasperata monumentalità e nella sue irripetibile polivalenza, la concordia delle idee, l'armonia dei gesti, il razionale patto di alleanza che compone ogni interna contraddizione, ogni esterno dissidio.
È nella forma architettonica - sognata, ideata, realizzata infine, - che le virtù dell'invenzione musicale, anche di quella sperimentata in altri campi e poi trasferita sotto l'impulso logico ed implacabile della parodia in altre celesti sfere, offrono le migliori garanzie di riuscita. Paradossalmente il materiale che è stato estratto da un gruppo non omogeneo di opere risalenti a tempi diversi si ricompone, con stupefacente coordinazione, in un corpo organico nel quale testo e musica procedono riconoscendosi l'uno nell'altro.
La tripartizione del Kyrie pare scontata (ma in due delle successive "Messe luterane", BWV 235 e 236, questa sezione non osserverà la distribuzione in trittico) e sembra ripetere in alcuni particolari di stesura il corrispondente movimento di una Messa dovuta a Johann Hugo Wilderer. L'osservazione è di quelle che fanno soltanto cronaca e che non scalfiscono la purezza del monumento.
Un motto di quattro battute apre perentoriamente la pagina con un tutti significativamente mancante delle solenni trombe; segue un lungo intervento strumentale, introduzione al grande Kyrie, che sviluppa in forma fugata (poi ripreso dal coro) un tema dall'incedere solenne, patriarcale, processionale, tortuoso e teso in una costante progressione verso l'alto e secondo formule "ostinate".
Un sentimento funebre di cordoglio anima la pagina ed un tono epico si intravede nella possente architettura a 5 voci. Di tutt'altra natura è, invece, il secondo Kyrie che fissa il testo su un'arcaica struttura mottettistica, riducendo a 4 le voci. Il Christe centrale è, per contrasto con la pietas di cui è circondato, un brano luminoso, elaborato sotto forma di duetto, in tonalità maggiore (contro il minore delle altre due sezioni); da notare che in questo caso, come nei casi degli altri due duetti (nn. 7 e 14), la struttura a due è richiamata in coincidenza di testi che riguardano la seconda persona della Trinità.
Nella suddivisione del Gloria, in otto episodi (quattro affidati al coro e quattro ai solisti) parrebbe difficile riconoscere a prima vista l'esecuzione di un piano organico prestabilito. E tuttavia, il testo dell'hymnus angelicus sembra essere stato sottoposto ad analisi e risolto musicalmente in maniera conseguente.
Il simbolismo e l'aderenza allo spirito e alla forma dell'inno sono ad ogni passo evidenti e di grandissima qualità è sempre il discorso musicale, che forse solo nel caso dell'aria per basso con corno da caccia (Quoniam) sembra conoscere un cedimento. Ma la temperatura è elevata nei brani corali, tutti a 5 voci ad eccezione del Gratias, parodia di un brano a quattro: dal tripudiante Gloria con l'eterea fuga sull'Et in terra pax (che chiama in causa la multitudo militiae coelestis di cui parla Luca 2, 14) all'apoteosi del Cum Sancto Spiritu, dal Gratias agimus con la sua arcaica gravitas mottettistica al patetico e insieme superbo Qui tollis. E splendidi fiori si raccolgono nel giardino delle altre due arie, quasi concepite come pannelli corrispondenti (un violino solista nel Laudamus, un oboe d'amore nel Qui sedes; ma in entrambi i casi l'accompagnamento è affidato agli archi). Un caso particolare è il duetto: le due voci - acute - propongono dapprima simultaneamente i due primi versetti (sul Padre e sul Figlio) ma alternandosi nelle proposte dei due testi e conducendo il discorso in imitazione; sul terzo versetto, quello dell'Agnus Dei, invece, le due voci procedono in perfetto parallelismo e su un unico testo. Fatto non trascurabile è l'aggiunta della parola altissima all'espressione Domine Fili unigenite Jesu Christe; la parola non trova riscontro nel Missale Romanum ma figura come tropo nel Graduale della Thomaskirche (Sec. XIV) relativamente a quattro Gloria.
La distribuzione della materia nel Symbolum Nicenum obbedisce, ovviamente, a criteri del tutto diversi da strutture architettoniche rigorose e fra loro corrispondenti ed equidistanti:
Credo ( Coro – stile antico ) 4 / 2
Patrem ( Coro – stile moderno ) 2 / 2
Et in unum Dominum ( Duetto – stile moderno ) 4 / 4
Et incarnatus ( Coro – stile misto ) 3 / 4
Crucifixus ( Coro – stile antico ) 3 / 2
Et resurrexit ( Coro – stile moderno ) 3 / 4
Et in Spiritum sanctum ( Aria – stile moderno ) 6 / 8
Confiteor ( Coro – stile antico ) 4 / 2
Et expecto ( Coro – stile moderno ) 2 / 2

Questa struttura così limpida, ed essenziale, è stata raggiunta mediante una operazione di adeguamento, di calibratura, poiché inizialmente il Symbolum era suddiviso in otto (e non in nove) numeri: l'Et incarnatus era inteso come il prolungamento del duetto costruito sul versetto precedente (Et in unum Dominum) facendo corpo con esso. Solo in un secondo tempo Bach realizzò l'Et incarnatus in stile di mottetto a cinque voci e ne riportò la partitura su un foglio (dalla carta diversa rispetto a quella impiegata per il Symbolum) poi aggiunto, al luogo giusto, al manoscritto della Missa tota; conseguentemente, distribuì in maniera diversa il testo dell'Et in unum Dominum, espungendo dal duetto il testo dell'Et incarnatus, e relegò le due parti vocali così rielaborate in appendice all'intera sezione del Symbolum.
Il Symbolum si apre con un brano che è un vero e proprio mottetto a 7 voci (5 vocali e 2 strumentali) con basso continuo. In senso tecnico, la pagina funge da "intonazione", sostituisce il celebrante al quale la liturgia affida le prime parole del testo (Credo in unum Deum). La realizzazione mottettistica bachiana s'ispira a modelli arcaici (si pensi al Monteverdi sacro o allo Schütz dei Gestliche Konzerte) e utilizza un tema a valori larghi direttamente attinto dal Credo autentico gregoriano (nel quarto modo, ipofrigio) che si ritrova anche nel Gesangbuch di Gottfried Vopelius (1682).
Non è senza significato ricordare, e il fatto testimonia ancora una volta dell'attenzione che Bach prestava alla conoscenza dei contemporanei, che lo stile di questa "intonazione" è parente prossimo di quelle create da Giovanni Battista Bassani per cinque dei suoi sei Credo della raccolta di Messe intitolata Acroama Missale (pubblicata ad Augsburg nel 1709); tale raccolta venne interamente copiata sotto il controllo di Bach intorno al 1740 e il Kantor si fece premura di aggiungervi, rispettando lo "stile antico", l'intonazione del Credo per la quinta Messa. La poderosa costruzione mottettistica del brano in questione osserva rigorosamente lo stile contrappuntistico, ma all'imitazione che governa le parti vocali si aggiunge una figurazione ostinata affidata al basso continuo; alle cinque voci si sommano le parti dei violini I e II, sempre proponenti lo scultoreo tema ecclesiastico. A questo brano introduttivo segue il Patrem, dapprima cantato dai bassi in concomitanza con le parole Credo in unum Deum riaffermate dalle altre tre voci (il coro è qui a quattro voci), e poi trasferito sulle altre voci.
Carattere arcaico ha ancora il "lamento" del Crucifixus che risulta da una trasformazione (parodia) della prima parte del coro introduttivo alla cantata BWV 12, e più ancora il Confiteor che utilizza come cantus firmus la corrispondente melodia del Credo gregoriano, presente nel citato graduale della Thomaskirche.
Le restanti parti dell'Ordinarium Missae sono state suddivise da Bach in due sezioni che rispettano la prassi liturgica propria di Lipsia: l'Osanna e il Benedictus, che nel Missale Romanum sono parti integranti del Sanctus, sono concepiti come brani a sé stanti. Come già sappiamo, per la prima sezione il Kantor ha ripreso senza modifiche un Sanctus composto nel 1724 e più volte eseguito nei giorni del Natale e della Pasqua di anni successivi.
La Composizione si presenta a 6 voci e dotata di un organico strumentale superiore a quello proprio delle altre sezioni della Messa. L'incedere solenne e grandioso della prima parte trova un elemento di contrasto nella dinamica fuga sul Pieni sunt coeli (che ricorda quella del mottetto Singet dem Herrn). In quest'ultimo passo è da notare l'adozione di un'espressione che si discosta da quella del Missale Romanum: là dove è detto "pieni sunt coeli gloria tua" Bach usa la dizione "gloria ejus" (come avverrà anche nei Sanctus BWV 237 e 238) che riporta quel passo alla veste biblica originale (Isaia 6, 3).
L'Osanna comporta l'impiego di un doppio coro: siamo ancora in presenza, dunque, di un'altra disparità nella distribuzione dei ruoli vocali a conferma dell'indipendenza con la quale le singole sezioni sono state elaborate. Nella sua forma originale, l'Osanna (che è la parodia del brano iniziale di una cantata profana perduta) doveva avere un'introduzione strumentale (quella stessa che ora chiude l'episodio), poi soppressa da Bach al momento di trasformare la pagina in una composizione sacra agganciata al Sanctus. Il Benedictus è una toccante aria per tenore, forse la più significativa di tutta la Messa in si minore, con uno strumento melodico concertante non indicato, ma individuabile in un flauto traverso. Bipartito è l'Agnus Dei che si presenta nella tradizionale suddivisione con il Dona nobis pacem elaborato in maniera indipendente: quest'ultima sezione è una parodia "di secondo grado" dal momento che si tratta di una rielaborazione del Gratias agimus tibi (n. 6) il quale a sua volta ripeteva la propria origine da una pagina della Cantata BWV 29.
La monumentale Messa, che Bach non concepì come opera unitaria e che egli sicuramente non propose mai nella sua interezza, doveva costituire una delle colonne portanti della rinascita bachiana. E tuttavia solamente il 20 Febbraio 1834 la partitura fu proposta per la prima volta nella sua totalità in pubblico, alla Singakademie di Berlino, nell'esecuzione curata da Karl Friedrich Rungenhagen (1778 - 1851), che l'anno precedente aveva fatto conoscere la Johannes-Passion. Si deve sottolineare, ad ogni modo, che il Symbolum Nicenum era stato eseguito ad Amburgo il 9 Aprile 1786 sotto la direzione di Carl Philipp Emanuel Bach nel corso di un concerto di beneficenza e che per quella circostanza il secondogenito di Johann Sebastian aveva composto un'introduzione strumentale. Annunciata sulla locandina del concerto come Credo, oder niconisches Glaubensbekänntnis, quella grandiosa sezione di Messa sembra voler sottolineare l'origine spiccatamente luterana dell'opera e, del resto, la dizione di "grande Messa cattolica" con la quale l'opera verrà indicata nel catalogo del lascito di Carl Philipp Emanuel potrebbe essere stata voluta dall'editore del catalogo steso in vista della vendita dei manoscritti e per meglio chiarire il contenuto di quell'autografo rispetto a quelli delle quattro Messe "luterane". Certo è che l'opera ha carattere atipico e non è proponibile sotto il profilo meramente liturgico. Capolavoro sospeso nel vuoto, opera d'arte polivalente nella quale il ricorso a più stili fra loro contrastanti e regolati da un'ideale e dialettica concordantia oppositorum è la ragione prima del messaggio musicale, il polittico della Messa in si minore, pur scomposto nei suoi diversi pannelli, si rivela creazione compatta, omogenea e conseguente, degna di rappresentare l'epoca in cui fu creata, un'epoca di crisi - premeva alle porte lo "stile galante" affossatore della poesia del "sublime" - che Bach tuttavia seppe superare con lo slancio proprio degli uomini saggi e giusti.

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   James Byron Dean, nasce l'8 Febbraio 1931, muore il 30 Settembre 1955 Attore cinematografico, e vera Icona. #Dean #JamesDean #Movie...