- Adagio - Allegro molto
- Largo
- Scherzo. Molto vivace
- Allegro con fuoco
Organico: ottavino, 2 flauti, 2
oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3
tromboni, basso tuba, timpani, piatti, triangolo,
archi
Composizione: New York, 20 Dicembre 1892 - 24 Maggio 1893
Prima esecuzione: New York, Carnegie Hall, 16 Dicembre 1893
Composizione: New York, 20 Dicembre 1892 - 24 Maggio 1893
Prima esecuzione: New York, Carnegie Hall, 16 Dicembre 1893
Il 16 Dicembre 1893 Anton Seidl
dirigeva alla Carnegie Hall di New York la prima esecuzione
della Sinfonia n. 9 in mi minore Op. 95 di Antonìn Dvorak,
alla presenza dell'autore. Si trattò probabilmente dell'evento clou
del soggiorno triennale di Dvorak negli Stati Uniti, fra l'Ottobre
del 1892 e l'Aprile del 1895. Dvorak era stato invitato nel giugno
1891 a trasferirsi a New York, per assumere la direzione artistica
del locale Conservatorio, da Jeannette Thurber, moglie di un ricco
commerciante di generi coloniali; invito accolto dopo qualche
esitazione e l'assicurazione di comprensibili garanzie (fra l'altro
il ragguardevole stipendio di 15 mila dollari annui).
Gli enormi sviluppi della vita musicale
newyorkese nell'ultimo scorcio del secolo trovavano così un logico
esito nel potenziamento delle strutture didattiche, con la presenza
di un eminente compositore europeo. Non è un caso che la scelta
fosse caduta proprio su Dvorak.
Proveniente da una famiglia di piccola
borghesia, precocemente avviato alla musica, Dvorak aveva colto il
suo primo vero successo nel 1873, a 31 anni, con un Inno patriottico
che si inseriva compiutamente nella corrente irredentista propria
degli ambienti culturali boemi. L'anno seguente un riconoscimento
prestigioso, con la vittoria di una borsa di studio del governo
austriaco, assegnata da una giuria composta, fra gli altri, da Eduard
Hanslick e Johannes Brahms. In seguito il lancio internazionale: al
1884 risale il primo personale trionfo in Inghilterra - dove il
compositore si recò complessivamente nove volte - che comportò la
nomina a membro onorario della London Philharmonic Society; nel 1890
doveva giungere la laurea honoris causa dell'Università di
Cambridge.
Tali tappe della carriera di Dvorak
seguivano da vicino anche la personale evoluzione dello stile del
compositore. Se gli esordi creativi si erano svolti all'insegna della
scuola neotedesca di Liszt e Wagner, il cui modernismo sembrava più
adatto a veicolare i contenuti nazionalistici peculiari della cultura
céca, è proprio intorno al 1873 che lo stile di Dvoràk subisce una
brusca virata verso il sinfonismo puro e gli ideali di classico
equilibrio della forma, ideali che trovavano nuova linfa nelle
melodie di ispirazione popolare. È appunto questa peculiare mistura
fra equilibrio formale e melodiosità slava che portò a riconoscere
in Dvoràk un musicista dalla personalità inconfondibile, né
conservativa né radicale, capace di apparire alla borghesia boema
come una incarnazione dell'identità nazionale, o anche di farsi
ammirare di fronte all'intera Europa per la raffinatezza della
scrittura e la solidità costruttiva delle sue opere.
L'invito in America aveva dunque il
significato di una consacrazione; ma il contatto con una cultura
musicale composita, in evoluzione e così dissimile da quella europea
non poteva non avere ripercussioni proprio sui nuovi esiti creativi
del maestro boemo. Alcuni studenti di colore misero in contatto il
maestro con la musica dei neri americani, con gli spirituals e i
canti delle piantagioni. A Spilville, nello lowa, il compositore ebbe
occasione di ascoltare canti della comunità indiana. La Sinfonia
in mi minore è la prima importante risposta a tali stimoli, e
non a caso reca la celeberrima intitolazione "Z Nového svéta"
(Dal nuovo mondo); appunto la discussa influenza del nuovo mondo
costituisce il punto centrale delle diverse valutazioni che della
partitura sono state fatte.
Dvorak illustrò il titolo dell'opera
spiegando che si riferiva semplicemente a «impressioni e saluti dal
nuovo mondo»; ancora nel corso della stesura affermò che
«l'influenza dell'America può essere avvertita da chiunque abbia
"fiuto"». E molti compositori si domandarono se, con la
nuova Sinfonìa, Dvorak intendesse inaugurare una nuova maniera,
segnata dalla presenza di melodie ispirate al composito folklore
americano. E in effetti la presenza di tali melodie è innegabile;
nel primo tempo appare lo spiritual «Swing low, sweet chariot»,
mentre una generica ispirazione "indiana" hanno alcune
melodie dei movimenti centrali. Tuttavia le melodie pentatoniche e
l'armonia modale, la vitalità ritmica, sono caratteristiche proprie
di tutta la musica di Dvorak; inoltre non mancano nella partitura
chiari tratti del folklore boemo. Semmai tutta l'invenzione melodica
della Sinfonia in mi minore presenta un'estrazione
"primitiva", stagliata nitidamente più che non nella
precedente esperienza sinfonica dell'autore.
Insomma, qualora si voglia trovare una
"svolta" nella Nona Sinfonia di Dvorak, questa
andrà individuata, più che nell'invenzione melodica, nel processo
di semplificazione e chiarificazione della forma che dona a queste
idee una plastica evidenza, allontanando la partitura dalla dolce
seriosità della Settima e dagli indipendenti
sperimentalismi dell'Ottava. Anche le sezioni di sviluppo del
materiale - che costituiscono in genere il punto debole del
sinfonismo dell'autore boemo, per una certa prolissità e povertà
dialettica - sono affrontate con una snellezza maggiore che nelle
precedenti opere sinfoniche.
Proprio l'aspetto formale è uno dei
tratti che più garantiscono alla Sinfonìa la sua
coerenza, e quindi la sua indubitabile e coinvolgente efficacia in
sede esecutiva. La partitura si avvale infatti di un processo
accumulativo del materiale, con ritorni tematici via via maggiori con
la successione dei movimenti (fra l'altro le affinità fra le diverse
melodie pentatoniche emergono nitidamente perché queste vengono
prevalentemente affidate ai legni solisti). Inoltre ciascuno dei
quattro tempi si apre con una breve introduzione lenta.
Nel primo movimento l'Adagio
introduttivo lievita progressivamente, sfruttando uno spunto ritmico,
verso il caratteristico tema che apre l'Allegro molto; tutto questo
primo tempo, animato da temi secondari di icastica evidenza, risente
di una ricchezza di episodi e di intrecci, di subitanei trapassi
espressivi, che attribuiscono alla pagina una freschezza
continuamente rinnovata.
Nel Largo una successione di
ampi accordi conduce alla melodia pentatonica che informa tutta
l'ambientazione lirica e soffusa del movimento, non contraddetta
neanche nella più animata sezione centrale (il momento culminante
ripropone un frammento del tema principale del primo tempo).
Nello Scherzo ritroviamo il
gusto di Dvorak per la vitalità ritmica e la varietà coloristica,
sorretti dalla mano infallibile dell'orchestratore, dalla sicura
invenzione dei temi caratteristici. Più complesso il finale, aperto
dalla perentoria affermazione del tema che ha assicurato alla
Sinfonia la sua celebrità, e che viene poi ribadito al termine, in
una estrema perorazione. Nel prosieguo del movimento, peraltro, si
accumulano le principali idee melodiche già ascoltate nei tempi
precedenti; procedimento già impiegato nei tempi centrali. Ma Dvorak
non si accontenta di riesporre tali idee; le elabora e le intreccia
con il tema principale del finale, sì che il movimento conclusivo si
prospetta come una sintesi del contenuto dell'intera Sinfonia, e
della stessa arte sinfonica del compositore.
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