24 settembre 2024

MUSICA - CARL ORFF - CARMINA BURANA - STORIA


Carl Orff – Carmina Burana

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Nel 1803, presso il Monastero di Benediktbeuren (Bura Sancti Benedicti) in Alta Baviera, fu rinvenuta una vasta raccolta di Testi poetici medioevali risalenti al tredicesimo Secolo, cui venne attribuito il nome di “Carmina Burana”.

Scritti in lingua latina, e parzialmente in tedesco antico e in provenzale, questi componimenti presentano un contenuto quanto mai vario che va da temi strettamente religiosi ad argomenti naturalistici, goderecci e talvolta licenziosi.

Essi nacquero nell’ambiente dei così detti “clerici vagantes”, cioè di giovani studenti che nel Medioevo si trasferivano da un’università all’altra in cerca di nuovi Maestri e nuovi saperi, conducendo spesso un’esistenza libera e talvolta sfrenata.

Le liriche dei Carmina contengono anche indicazioni musicali frammentarie e di difficile o dubbia interpretazione.


Nel 1937 il Compositore, didatta e umanista bavarese Carl Orff (1895-1982) trasse da tale fonte poetica un “Oratorio scenico” il cui titolo recita testualmente: “Carmina Burana. Cantiones profanae cantoribus et choris cantandae comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis” (Canti profani per Cantanti e Cori accompagnati da strumenti e immagini magiche).

La loro Esecuzione, possibile in forma semplicemente concertistica, trae il suo massimo significato dalla rappresentazione in forma scenica, come del resto previsto dall’Autore.
Il linguaggio musicale di Orff è caratterizzato dal rigetto di ogni influenza tardo-romantica, come pure delle esperienze delle avanguardie novecentesche, in favore di un ritorno alla primordiale semplicità della parola e del ritmo. La declamazione scandita, la reiterazione ossessiva e quasi incantatoria di semplici formule melodiche e ritmiche, nonché il ricorso all’antica modalità, sono alla base del fascino ancor oggi esercitato dalle sue Composizioni e di questa in particolare.


I Carmina di Orff utilizzano i testi di 24 Liriche e sono strutturati in cinque parti, introdotte e concluse dal celebre e… gettonatissimo coro “O Fortuna”. La fortuna, intesa come sorte o fato, viene proclamata “Imperatrice del mondo” ed è rappresentata da una ruota che, girando costantemente, determina le vicende umane, l’ascesa, l’apice e la caduta delle umane ambizioni. Essa è anche l’immagine simbolica dell’alternarsi delle stagioni in natura e nella vita stessa dell’Uomo.


PROLOGO – “O Fortuna”
“Fortune plango vulnera” (Piango le ferite della Fortuna). Con un Coro all’unisono si lamenta la volubilità della Fortuna che, dopo avere esaltato le sorti umane, ne provoca la rovinosa caduta


PARTE I – “Primo vere” (In primavera)
Il Coro sottolinea il dolce rinascere della natura dopo i rigori invernali e il solista invita a godere del tiepido sole che risveglia i sensi da un lungo torpore. Un Coro gioioso esalta poi gli splendori primaverili e invita tutti all’allegrezza.


PARTE II – “Uf dem Anger” (Sul prato)
Il quadro si apre con una danza, unico Brano strumentale dell’Opera. Nel successivo “Floret silva nobilis” (La nobile foresta rinverdisce) le fanciulle rimpiangono i loro amici lontani, ma la lunga attesa viene ben presto rallegrata dal loro ritorno. Segue il vivace “Chramer, gip die varwe mir” (Mercante, dammi del colore) dove le fanciulle si truccano e si fanno belle per piacere ai loro Uomini che le osservano ammirati… Con un allegro girotondo (Reie) si festeggiano gli amori ritrovati e il Coro conclude gioiosamente: “Were diu werlt alle min” (Se il mondo fosse tutto mio!).


PARTE III – “In taberna” (All’osteria”)
E’ questa la parte musicalmente e visivamente più originale dell’Opera, ricca di trovate e di situazioni esilaranti.

Si inizia col solista che intona “Estuans interius” (Divorato dall’ira veemente) evocando le inquietudini e i desideri della giovinezza, rendendosi conto però che esse distruggeranno la sua anima. Nella scena successiva “Olim lacus colueram” (Un tempo abitavo il lago), un povero cigno arrostisce sul girarrosto e piange la sua sorte crudele. Ma, mentre i commensali dell’osteria stanno per addentarlo, se ne fugge via quatto quatto… Interviene poi il re della festa, proclamando solennemente: “Ego sum abbas Cucaniensis” (Io sono l’abate di Cuccagna) e incita tutti i presenti ai piaceri del mangiare e del bere. Segue un coro travolgente che canta: “In taberna quando sumus” (Quando siamo all’osteria) e dichiara che il vino rende uguali tutti gli uomini, qualunque sia la loro condizione e classe sociale.


PARTE IV – “Cours d’amour” (Le corti d’amore)
Vengono qui rappresentati con grande ricchezza di accenti gli aspetti contrastanti dell’amore sensuale. L’alternanza dei singoli quadri mette in scena il desiderio più sfrenato accanto a momenti intensamente espressivi, come il breve assolo del Soprano “In trutina” (Sulla bilancia). Helena, Nobile fanciulla, si mostra esitante tra il desiderio dei sensi e il suo innato pudore, finché, dopo un vivace intervento del coro “Tempus est iocundum” (Tempo felice è questo), cede alle offerte di Blanziflor: “Dulcissime” (A te o dolcissimo).


PARTE V – “Blanziflor et Helena” (Biancofiore ed Elena)
Qui si conclude la parte precedente col Coro “Ave formosissima” (Salute a te, o bellissima), un Inno che esalta l’unione dei due giovani amanti.


FINALE – “O Fortuna”
Un colpo di martello del Fato interviene a questo punto inaspettato e ci riporta direttamente al punto di partenza, pronti per un nuovo e inesorabile giro della ruota della Fortuna…


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