Si tratta di una rivisitazione
dell'omonima commedia di Molière realizzata per
l'amico Francesco Albergati Capacelli, che era solito recitare
con una compagnia di comici dilettanti nella sua villa di Zola
Predosa.
La commedia si svolge a Pavia,
all'interno della casa di Don Ambrogio. È, questi, un vecchio avaro
il cui unico figlio è venuto a mancare da ormai un anno. Presso la
sua dimora vive, trattata come una figlia, Donna Eugenia, la nuora.
Ad essa Don Ambrogio dice d'esser molto affezionato, ma sebbene
costei sia per lui larga fonte di dispendio (lo troviamo, infatti, a
principio della commedia, a rimuginar sulle spese della donna) non ha
interesse di maritarla per non distaccarsi dalla di lei dote.
Vi sono, però, tre pretendenti che
anelano ad un matrimonio con la giovane vedova: in primo luogo il
Conte Filiberto dell'Isola ed il Cavalier Costanzo degli Alberi.
Costoro hanno già avuto modo di dichiararsi a Donna Eugenia e già
godono delle benevolenze di quest'ultima la quale, tuttavia, si
riserva di dar loro una risposta, precisando d'essere ancora sotto la
potestà del suocero e, di conseguenza, in obbligo di rimettersi
soltanto alla sua decisione. Il terzo pretendente è Don Ferdinando,
un giovane studente di Mantova, amico del defunto figlio di Don
Ambrogio, che per terminar gli studi ha sino ad ora soggiornato
presso questa dimora. Don Ferdinando è timido, modesto di carattere
e di buona famiglia e, cosa ancor più importante, non è
assolutamente interessato alla dote di Donna Eugenia come, invece,
pare lo siano il Conte e il Cavaliere. Oltretutto non ha mai avuto il
coraggio di dichiarare alla giovane vedova i propri sentimenti.
Quando i tre uomini si recheranno (in
separati momenti) a domandare a Don Ambrogio la mano della bella
Eugenia, solamente Don Ferdinando riuscirà ad entrare nelle grazie
del vecchio avaro, proponendosi immediatamente di prender Donna
Eugenia senza dote alcuna. Don Ambrogio, felice di non doversi
separare da quel piccolo tesoro, accetta senza alcuna rimostranza il
matrimonio tra i due e suggerisce al ragazzo di raggiungere Eugenia e
comunicarle la decisione presa. E in fretta, anche, dal momento che
proprio quel giorno il giovane è in procinto di tornar a Mantova
dalla propria famiglia. È Don Ambrogio, però, a recarsi per primo
dalla nuora, annunciandole che giungerà, di lì a poco, colui al
quale è stato deciso ch'ella verrà data in seconde nozze.
Tuttavia, quando Don Ferdinando si
decide a recarsi presso Eugenia per cercare di comunicarle il fatto,
non riesce a dir quasi nulla: il Conte ed il Cavaliere lo hanno
preceduto e sono intenti a commentare con asprezza il trattamento
loro riservato da Don Ambrogio in seguito alle domande di matrimonio
presentategli poc'anzi. Donna Eugenia, scaltra come la maggior parte
delle figure femminili goldoniane, riesce ad intendere quanto
Ferdinando vorrebbe dirle e, con tatto, riesce a trarlo d'impiccio
spiegando agli astanti che il ragazzo è lì soltanto per comunicarle
la propria partenza e chiederle consiglio sulla donna di cui s'è
innamorato. Rivolgendosi al mantovano, con garbo, gli consiglia di
partir a cuor leggero, aggiungendo che colei per cui egli trepida lo
stima molto ma non ne è innamorata.
Il guazzabuglio verrà concluso da una
trovata del Cavaliere Costanzo degli Alberi che proporrà la più
vantaggiosa delle soluzioni: la dote resterà nelle mani di Don
Ambrogio fin quando egli avrà vita; alla di lui morte, eleggendo la
vedova come sua erede universale, la dote ed i suoi frutti verranno
completamente restituiti alla donna. Di questa risoluzione Don
Ambrogio è felicissimo, e dacché il Cavaliere si propone quale
galantuomo realmente interessato a maritarsi con la bella Eugenia,
verrà ben presto stipulato il contratto matrimoniale con buona pace
di tutti, men che di uno stizzito Conte Filiberto.
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