"Variazioni Goldberg"
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Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
- Aria
- Variazione 1 - a 1 manuale
- Variazione 2 - a 1 manuale
- Variazione 3 - canone all'unisono a 1 manuale
- Variazione 4 - a 1 manuale
- Variazione 5 - a 1 ovvero 2 manuali
- Variazione 6 - canone alla seconda a 1 manuale
- Variazione 7 - a 1 ovvero 2 manuali
- Variazione 8 - a 2 manuali
- Variazione 9 - canone alla terza a 1 manuale
- Variazione 10 - fughetta a 1 manuale
- Variazione 11 - a 2 manuali
- Variazione 12 - canone alla quarta
- Variazione 13 - a 2 manuali
- Variazione 14 - a 2 manuali
- Variazione 15 - canone alla quinta in moto contrario a 1 manuale. Andante (sol minore)
- Variazione 16 - ouverture a 1 manuale
- Variazione 17 - a 2 manuali
- Variazione 18 - canone alla sesta a 1 manuale
- Variazione 19 - a 1 manuale
- Variazione 20 - a 2 manuali
- Variazione 21 - canone alla settima (sol minore)
- Variazione 22 - alla breve a 1 manuale
- Variazione 23 - a 2 manuali
- Variazione 24 - canone all'ottava a 1 manuale
- Variazione 25 - a 2 manuali (sol minore)
- Variazione 26 - a 2 manuali
- Variazione 27 - canone alla nona
- Variazione 28 - a 2 manuali
- Variazione 29 - a 1 ovvero 2 manuali
- Variazione 30 - quodlibet a 1 manuale
Organico: clavicembalo
Composizione: 1741
Edizione: B. Schmid, Norimberga, 1741 - 1742
Compresa nel Clavier-Übung IV, vedi anche i Canoni BWV 1087
Composizione: 1741
Edizione: B. Schmid, Norimberga, 1741 - 1742
Compresa nel Clavier-Übung IV, vedi anche i Canoni BWV 1087
Nel 1726 si svolse a Lipsia, come
avveniva sotto Pasqua da tempo quasi immemorabile, la Fiera, famosa
in tutta Europa. Un musicista di quarantuno anni carico di figli che
ricopriva la carica di Cantor nella Chiesa di San Tommaso con un
salario appena sufficiente ad equilibrare alla meglio il bilancio
familiare, si recò in Fiera per spacciarvi una graziosa Partita per
clavicembalo che aveva pubblicato a sue spese. La sua iniziativa non
dovette ottenere un esito economicamente insoddisfacente perché
l'anno dopo il bravo Cantor si ripresentò in Fiera con una
seconda Partita, e con una terza nel 1728, una quarta nel 1729,
una quinta nel 1730. La sesta Partita completava nel 1731
il ciclo, e il Cantor aveva così messo al suo attivo, a quarantasei
anni, la sua "opera prima" pubblicata a sue spese, mentre
altri compositori del suo tempo, più famosi di lui, vendevano i loro
lavori ad editori che ne garantivano la diffusione internazionale.
Il titolo dell'op. 1 di Johann
Sebastian Bach - perché di lui si tratta, come il lettore ha già
capito - era Clavier-Übung, cioè Esercìzio per Tastiera.
Nel 1735 Bach pubblicò, questa volta presso un editore di
Norimberga, la seconda parte dell'Esercizio, nel 1739 la terza e nel
1741 la quarta, contenente l'Arìa con diverse variazioni per
clavicembalo con due tastiere che più tardi ebbe il titolo,
apocrifo, di Variazioni Goldberg.
Non sappiamo quante copie venissero
approntate per ogni tiratura dell'Esercizio per Tastiera, ma sappiamo
che cento copie vendute coprivano tutti i costi e che dalla
centounesima si cominciava a guadagnarci sopra. Siccome l'incisione
della musica richiedeva allora un complicato processo tecnico ed era
quindi assai dispendiosa, il prezzo delle pubblicazioni a piccola
tiratura si manteneva piuttosto alto. Christoff Wolff ci dice che "la
parte I veniva venduta a 2 talleri (lo stesso prezzo del trattato di
Heinichen sul basso continuo, di 994 pagine di caratteri a stampa) e
la parte III per 3 talleri, cifre che ne impedivano la diffusione al
di fuori della cerchia delie persone seriamente interessate".
Fra queste ultime c'era il dottissimo Padre Giovanni Battista
Martini, frate minore conventuale che a Bologna riuscì ad avere,
probabilmente inviategli da un confratello sassone, una copia della
prima ed una della terza parte. Della diffusione della quarta parte
non abbiamo notizie.
Il titolo Variazioni Goldberg è
dovuto ad un aneddoto raccontato nel 1802 da Nikolaus Forkel, primo
biografo di Bach. Secondo il Forkel, l'Aria con variazioni era
stata commissionata a Bach da un nobiluomo di Dresda, Hermann Carl
von Keyserlingk, che soffriva di insonnia e che allievava la noia
delle notti in bianco ascoltando pezzi per clavicembalo suonati da
Johann Cottlieb Goldberg, ex allievo del figlio maggiore di Bach,
Wilhelm Friedemann, ed allievo di Bach nel 1742 e nel 1743. La
cronologia non quadra, perché Bach compose le Variazioni nel
1741. Ma non quadra anche per altre ragioni, delucidate per noi
ancora da Christoff Wolff: "[...] secondo tutti gli indizi
estrinseci ed esteriori (la mancanza della dedica formale a
Keyserlingk, richiesta dal protocollo settecentesco, e la tenera età
di Goldberg, allora [1741] quattordicenne), indicano che le
cosiddette Variazioni Goldberg non nacquero come lavoro su
commissione indipendente, ma fecero parte fin dall'inizio del
progetto della Clavier-Übung, di cui costituiscono un grandioso
finale". Ciò non esclude, naturalmente, che Goldberg, entrato
al servizio del Keyserlingk, non utilizzasse le Variazioni per
distrarre il suo padrone insonne (non per farlo scivolare dolcemente
nelle braccia di Morfeo). In ogni caso, una volta escluso per sgravio
di coscienza il fondamento storico dell'aneddoto continueremo a
chiamare con il nome tradizionale l'Arìa con diverse variazioni. Per
i tedeschi, per i quali Gold-Berg significa Montagna
d'oro, il titolo apocrifo diventa persino simbolico: Variazioni
della Montagna d'Oro. Per noi è semplicemente più comodo del titolo
originale... e ci fa anche ricordare il povero allievo di Bach,
brillante clavicembalista e compositore di un certo vivace ingegno,
che morì a soli ventinove anni. L'Aria che dà lo spunto alle
variazioni è di trentadue battute, suddivise in due parti
simmetriche e con ripetizione dì ciascuna parte. Il basso delle
prime diciotto battute è identico a quello del tema nella Chaconne
avec 62 variations di Haendel, pubblicata ad Amsterdam nel 1732
e a Londra nel 1733. Bach conobbe sicuramente il lavoro di Haendel, e
probabilmente restò interessato in particolare, oltre che dal basso,
dall'ultima variazione, un canone a due voci (nel canone la seconda
voce ripete esattamente, a una certa distanza, ciò che è stato
cantato o suonato dalla prima voce). Sul basso händeliano Bach
lavorò in due modi diversi: aggiungendogli quattordici battute ne
fece la base dell'Aria, e sulle prime otto note annotò sulla sua
copia personale della quarta parte del Clavier-Übung quattordici
canoni, scoperti soltanto nel 1975. Comporre canoni su un testo dato
e creare melodie su un basso dato era, com'ancora avviene oggi nella
didattica della composizione, un normalissimo esercizio di abilità.
Ricorderemo per curiosità che Schumann propose alla giovanissima
Clara Wieck, non ancora sua moglie, un basso, su cui la ragazzina
creò una bella melodia e, partendo dalla melodia, delle variazioni
assai virtuosistiche. Schumann riprese la melodia di Clara e la variò
anche lui ma in modo "sapiente", introducendovi persino una
fuga, nei suoi Impromptus op. 5.
Se i canoni di Bach fossero dodici
saremmo nella consolidata tradizione del Settecento. Invece sono
quattordici. Perché? O, meglio, c'è un perché? C'è. Per Bach il
numero quattordici aveva un chiaro significato simbolico. La
denominazione tedesca dei suoni inizia dal la, indicato con A.
Andando di seguito, B è il si bemolle, C il do, D il re, ecc., fino
alla H che corrisponde al si naturale. Attribuendo il numero 1 al la,
il si bemolle avrà il 2, il do il 3, il si naturale l'8: la somma di
questi quattro numeri, corrispondenti al nome BACH, dà 14. E in Bach
troviamo vari impieghi simbolici di questo numero: ad esempio, egli
attese per parecchi anni, prima di entrare nella prestigiosa "Società
dei corrispondenti per le scienze musicali", attese cioè fino a
quando potè entrarvi come quattordicesimo socio. In quella solenne
occasione dovette donare alla Società il suo ritratto: posò per il
pittore Elias Gottlob Haussmann, tenendo in mano un foglietto con
scritto sopra uno dei quattordici canoni sul basso delle Goldberg:
non il quattordicesimo, tuttavia, ma il tredicesimo (il 13 è di
solito ritenuto un numero sfortunato, quello della "dozzina del
diavolo": Bach se ne faceva forse un baffo?).
La variazione non è una forma ma un
genere, e sebbene siano esistite alcune tipologie tradizionali di cui
i compositori si servivano per dare forma all'insieme, si può
affermare che ogni grande serie di variazioni è strutturata in un
modo unico, irripetibile. Le trenta variazioni delle Goldberg (detto
per inciso, il 30 - 10 x 3 - è il numero della pienezza e della
perfezione) sono suddivise in dieci gruppi di tre (10 è il numero
dei Comandamenti, 3 è il simbolo della Trinità). Nei primi nove
gruppi l'ultima variazione è un canone a due voci con un basso
accompagnante (che manca solo nel nono ed ultimo canone).
L'accompagnamento, per così dire, addolcisce l'impatto
sull'ascoltatore della rigorosa scrittura contrappuntistica, lo
addolcisce e lo rende più colloquiale rispetto a quello dei
quattordici canoni sul basso delle Goldberg o a quello dei
canoni dell'Arte della fuga. Nelle Goldberg il primo canone
(terza variazione) è all'unisono: la seconda voce ripete esattamente
quello che ha appena fatto la prima, come se ne ripercorresse subito
le orme, camminando ad un metro di distanza. Il secondo canone (sesta
variazione) è alla seconda, come se la seconda voce rifacesse il
percorso della prima ma, oltre che un metro indietro, anche spostata
di un metro a lato. I successivi canoni sono alla terza, alla quarta,
ecc., fino alla nona (ventisettesima variazione); ma il canone alla
quinta (quindicesima variazione) è per moto contrario: come se la
seconda voce, oltre che spostata a lato di cinque metri, andasse in
direzione opposta a quella della prima.
Il decimo gruppo di tre variazioni
ciascuno si conclude con un Quodlibet (a piacere,
letteralmente; nell'Italia del Settecento il termine usato
comunemente, invece di Quodlibet, era Misticanza).
Nel Quodlibet Bach sovrappone al basso dell'Aria le
melodie di due canzoni popolari. Che si tratti di canzoni popolari
non ce lo dice lui, Bach: ce lo fa sapere il suo allievo Johann
Christian Kittel, che ne cita gli incipit, rispettivamente - in
tedesco, ovviamente - "Sono così a lungo restato lontano da te,
ritorna, ritorna, ritorna" e "Cavoli e rape mi hanno fatto
fuggire. Se mia madre avesse cucinato della carne sarei restato più
a lungo". Canzoni popolari, dice il Kittel. Ma ci volle molto e
molto tempo per scoprire le musiche originali, sfruttate da Bach solo
parzialmente. "Cavoli e rape" è una Bergamasca -
anzi, Pergamasca - emigrata dalla Lombardia nella Germania
centrale e contenuta in un codice della fine del Seicento; l'altra
canzone è stata alla fine ritrovata in una pubblicazione uscita a
Lipsia nel 1696.
La divisione in dieci gruppi, con un
ordinamento progressivo dei canoni e con il culmine del Quodlibet,
scandisce l'articolazione rigorosamente geometrica della struttura.
Alla divisione per gruppi di tre variazioni s'affianca però
nelle Goldberg un altro tipo di divisione, una divisione in
due grandi parti simmetriche. La sedicesima variazione è una vera e
propria Ouverture alla francese (introduzione in movimento
lento, seguita da un fugato), nettamente differenziata rispetto a
tutte le altre variazioni. Siccome Bach prescrive che l'Aria venga
ripetuta dopo la trentesima variazione, nella forma dell'opera si
crea questa divisione dei trentadue pezzi in sedici e sedici
(trentadue, lo ricordo al lettore, sono anche le battute dell'Aria):
Aria e 15 variazioni (I-XV)
15 variazioni (XVI-XXX) e Aria.
15 variazioni (XVI-XXX) e Aria.
La divisione in due parti è talmente
netta da consigliare a Jörg Demus, tenuto conto della durata di
circa ottanta minuti delle Goldberg, di fare un intervallo dopo
la quindicesima variazione, emotivamente intensissima, e di
riprendere con la festosa sedicesima variazione dopo una sosta di una
ventina di minuti. Si tratta di un'idea eminentemente pragmatica, che
contrasta con il costume odierno e che viene quindi accettata con
difficoltà (per non dire con scandalo), ma che non turba affatto,
secondo me, la ricezione dell'opera e che, anzi, la favorisce.
Un'altra iniziativa pragmatica,
anch'essa, oggi, dura da... digerire, fu quella di Jörg Ewald
Dahler, allievo di un antesignano della "prassi autentica"
come Fritz Neumeyer, che ad ogni variazione diede un titolo
caratteristico, di gusto francese settecentesco. Questi i titoli
delle prime tre variazioni: Les Polonaises (La
Polacche), La conversation galante (La conversazione
galante), Les Deux Bergers (I due pastori). Non vado oltre
perché non sono autorizzato a pubblicare l'intero set di titoli, ed
anche perché non vorrei sconcertare chi ritiene che il pregio
maggiore del testo artistico risieda nella sua incontaminata
autenticità. Mi permetto tuttavia di far osservare che, se è pur
vero che nei titoli apocrifi c'è molto di Bach alla Couperin e anche
un po' di Bach alla Grieg, è vero altresì che il Dahler non è un
dilettante ma un filologo, uno studioso tutt'altro che incline a
mercificare l'arte. I suoi titoli sono da intendere come segnali
verso chi reagisce alla musica, invece che per dottrina, per
sensibilità e per gusto, e mirano a facilitare e favorire la
comprensione delle Goldberg indirizzando concretamente
l'immaginazione dell'ascoltatore.
In realtà, sia l'iniziativa di Demus
che l'iniziativa di Dahler che, per altro verso, l'iniziativa di un
interprete rigoroso come Alfred Brendel, che intitola una per una
le 33 Variazioni su un valzer di Diabelli di Beethoven, colgono
un problema fondamentale dell'odierno concertismo: come si possono
presentare al pubblico, in concreto, lavori che erano stati pensati
per l'esecuzione da camera? Come si possono unire le mille o le
millecinquecento persone nell'ascolto di opere pensate per un
pubblico di due, tre, o al massimo dieci ascoltatori? Si tratta di un
problema che sta alla base del concertismo solistico, che durante il
secolo passato era stato progressivamente messo in ombra e che sta
oggi riemergendo. Liszt aveva scritto nel 1855 che se Schumann avesse
dato alla sua opera 15 il titolo Bagatelle, invece di Scene
infantili, avrebbe reso più ardua la comprensione del suo lavoro. E,
Liszt, il concertismo non solo l'aveva praticato: lo aveva anche
inventato.
L'aneddoto che diede origine al titolo
apocrifo Variazioni di Goldberg si trova, come ho già
detto, nella biografìa di Bach che Nikolaus Forkel pubblicò nel
1802. Nello stesso anno usciva una nuova edizione delle Goldberg che
andava a sostituire la prima, ormai introvabile. Questa edizione era
nota a Hoffmann che, o parafrasando una sua esperienza o facendo
ricorso alla sua lussureggiante bizzarra fantasia, introdusse l'Aria
con diverse variazioni nel racconto Sofferenze musicali del
maestro di cappella johannes Kreisler. In una brillante serata
mondana con molti invitati viene chiesto a Kreisler di far sentire
le Goldberg (non ancora denominate così). Egli, sa bene a
che cosa si andrà incontro e vorrebbe dunque evitare lo scandalo, ma
alla fine si lascia consigliare dai molti bicchieri di punch che ha
bevuto ed accetta l'invito, sibilando fra i denti "ascoltate, e
crepate di noia". Infatti, a poco a poco il pubblico se la
squaglia, e alla trentesima variazione Kreisler si ritrova da solo,
davanti al bicchiere del punch e ad una musica che provoca in lui
un'ubriacatura maggiore di quella dell'alcol: "Le note
prendevano vita, scintillavano, saltellavano attorno a me, un fuoco
elettrico passava dall'estremità delle mie dita ai tasti".
A parte questa, forse fantastica e
forse no, per tutto l'Ottocento non abbiamo notizie certe di altre
esecuzioni complete. Sembra che Liszt eseguisse una parte delle
variazioni. Nel 1883 Joseph Rheinberger trascrisse le Goldberg per
due pianoforti, distribuendo il tessuto originale fra i due strumenti
ed aggiungendo raddoppi e contrappunti. L'effetto era curioso:
stereofonico, accordale, molto - come dire? - avvolgente. Non abbiamo
notizia di esecuzioni pubbliche della versione Rheinberger, che solo
trent'anni più tardi fu ripresa e ritoccata da Reger, ma che anche
in questa forma non ebbe fortuna. Un'esecuzione parziale, su un
clavicembalo con due tastiere, venne proposta a Londra nel 1897 da
Alfred Hipkins. Agli inizi dei Novecento le Goldberg entrarono
nel repertorio concertistico del pianoforte con José Vianna da Motta
e con Ferruccio Busoni, che le ristrutturarono sia abolendo i
ritornelli che alcune variazioni (la versione di Busoni, pubblicata,
è del massimo interesse documentario). Vari altri pianisti ripresero
le Goldberg, ma le prime esecuzioni integrali di cui si abbia
notizia sono, negli anni Venti e Trenta, quelle di Harold Samuel, di
Rosalyn Tureck e di Claudio Arrau al pianoforte e di Wanda Landowska
al clavicembalo moderno.
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