13 aprile 2024

MUSICA – J.S. BACH – VARIAZIONI GOLDBERG BWV 988 PER CLAVICEMBALO

Aria con 30 variazioni, in Sol maggiore per Clavicembalo, BWV 988
"Variazioni Goldberg"

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Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Aria
  2. Variazione 1 - a 1 manuale
  3. Variazione 2 - a 1 manuale
  4. Variazione 3 - canone all'unisono a 1 manuale
  5. Variazione 4 - a 1 manuale
  6. Variazione 5 - a 1 ovvero 2 manuali
  7. Variazione 6 - canone alla seconda a 1 manuale
  8. Variazione 7 - a 1 ovvero 2 manuali
  9. Variazione 8 - a 2 manuali
  10. Variazione 9 - canone alla terza a 1 manuale
  11. Variazione 10 - fughetta a 1 manuale
  12. Variazione 11 - a 2 manuali
  13. Variazione 12 - canone alla quarta
  14. Variazione 13 - a 2 manuali
  15. Variazione 14 - a 2 manuali
  16. Variazione 15 - canone alla quinta in moto contrario a 1 manuale. Andante (sol minore)
  17. Variazione 16 - ouverture a 1 manuale
  18. Variazione 17 - a 2 manuali
  19. Variazione 18 - canone alla sesta a 1 manuale
  20. Variazione 19 - a 1 manuale
  21. Variazione 20 - a 2 manuali
  22. Variazione 21 - canone alla settima (sol minore)
  23. Variazione 22 - alla breve a 1 manuale
  24. Variazione 23 - a 2 manuali
  25. Variazione 24 - canone all'ottava a 1 manuale
  26. Variazione 25 - a 2 manuali (sol minore)
  27. Variazione 26 - a 2 manuali
  28. Variazione 27 - canone alla nona
  29. Variazione 28 - a 2 manuali
  30. Variazione 29 - a 1 ovvero 2 manuali
  31. Variazione 30 - quodlibet a 1 manuale
Organico: clavicembalo
Composizione: 1741
Edizione: B. Schmid, Norimberga, 1741 - 1742
Compresa nel Clavier-Übung IV, vedi anche i Canoni BWV 1087

Nel 1726 si svolse a Lipsia, come avveniva sotto Pasqua da tempo quasi immemorabile, la Fiera, famosa in tutta Europa. Un musicista di quarantuno anni carico di figli che ricopriva la carica di Cantor nella Chiesa di San Tommaso con un salario appena sufficiente ad equilibrare alla meglio il bilancio familiare, si recò in Fiera per spacciarvi una graziosa Partita per clavicembalo che aveva pubblicato a sue spese. La sua iniziativa non dovette ottenere un esito economicamente insoddisfacente perché l'anno dopo il bravo Cantor si ripresentò in Fiera con una seconda Partita, e con una terza nel 1728, una quarta nel 1729, una quinta nel 1730. La sesta Partita completava nel 1731 il ciclo, e il Cantor aveva così messo al suo attivo, a quarantasei anni, la sua "opera prima" pubblicata a sue spese, mentre altri compositori del suo tempo, più famosi di lui, vendevano i loro lavori ad editori che ne garantivano la diffusione internazionale.
Il titolo dell'op. 1 di Johann Sebastian Bach - perché di lui si tratta, come il lettore ha già capito - era Clavier-Übung, cioè Esercìzio per Tastiera. Nel 1735 Bach pubblicò, questa volta presso un editore di Norimberga, la seconda parte dell'Esercizio, nel 1739 la terza e nel 1741 la quarta, contenente l'Arìa con diverse variazioni per clavicembalo con due tastiere che più tardi ebbe il titolo, apocrifo, di Variazioni Goldberg.
Non sappiamo quante copie venissero approntate per ogni tiratura dell'Esercizio per Tastiera, ma sappiamo che cento copie vendute coprivano tutti i costi e che dalla centounesima si cominciava a guadagnarci sopra. Siccome l'incisione della musica richiedeva allora un complicato processo tecnico ed era quindi assai dispendiosa, il prezzo delle pubblicazioni a piccola tiratura si manteneva piuttosto alto. Christoff Wolff ci dice che "la parte I veniva venduta a 2 talleri (lo stesso prezzo del trattato di Heinichen sul basso continuo, di 994 pagine di caratteri a stampa) e la parte III per 3 talleri, cifre che ne impedivano la diffusione al di fuori della cerchia delie persone seriamente interessate". Fra queste ultime c'era il dottissimo Padre Giovanni Battista Martini, frate minore conventuale che a Bologna riuscì ad avere, probabilmente inviategli da un confratello sassone, una copia della prima ed una della terza parte. Della diffusione della quarta parte non abbiamo notizie.
Il titolo Variazioni Goldberg è dovuto ad un aneddoto raccontato nel 1802 da Nikolaus Forkel, primo biografo di Bach. Secondo il Forkel, l'Aria con variazioni era stata commissionata a Bach da un nobiluomo di Dresda, Hermann Carl von Keyserlingk, che soffriva di insonnia e che allievava la noia delle notti in bianco ascoltando pezzi per clavicembalo suonati da Johann Cottlieb Goldberg, ex allievo del figlio maggiore di Bach, Wilhelm Friedemann, ed allievo di Bach nel 1742 e nel 1743. La cronologia non quadra, perché Bach compose le Variazioni nel 1741. Ma non quadra anche per altre ragioni, delucidate per noi ancora da Christoff Wolff: "[...] secondo tutti gli indizi estrinseci ed esteriori (la mancanza della dedica formale a Keyserlingk, richiesta dal protocollo settecentesco, e la tenera età di Goldberg, allora [1741] quattordicenne), indicano che le cosiddette Variazioni Goldberg non nacquero come lavoro su commissione indipendente, ma fecero parte fin dall'inizio del progetto della Clavier-Übung, di cui costituiscono un grandioso finale". Ciò non esclude, naturalmente, che Goldberg, entrato al servizio del Keyserlingk, non utilizzasse le Variazioni per distrarre il suo padrone insonne (non per farlo scivolare dolcemente nelle braccia di Morfeo). In ogni caso, una volta escluso per sgravio di coscienza il fondamento storico dell'aneddoto continueremo a chiamare con il nome tradizionale l'Arìa con diverse variazioni. Per i tedeschi, per i quali Gold-Berg significa Montagna d'oro, il titolo apocrifo diventa persino simbolico: Variazioni della Montagna d'Oro. Per noi è semplicemente più comodo del titolo originale... e ci fa anche ricordare il povero allievo di Bach, brillante clavicembalista e compositore di un certo vivace ingegno, che morì a soli ventinove anni. L'Aria che dà lo spunto alle variazioni è di trentadue battute, suddivise in due parti simmetriche e con ripetizione dì ciascuna parte. Il basso delle prime diciotto battute è identico a quello del tema nella Chaconne avec 62 variations di Haendel, pubblicata ad Amsterdam nel 1732 e a Londra nel 1733. Bach conobbe sicuramente il lavoro di Haendel, e probabilmente restò interessato in particolare, oltre che dal basso, dall'ultima variazione, un canone a due voci (nel canone la seconda voce ripete esattamente, a una certa distanza, ciò che è stato cantato o suonato dalla prima voce). Sul basso händeliano Bach lavorò in due modi diversi: aggiungendogli quattordici battute ne fece la base dell'Aria, e sulle prime otto note annotò sulla sua copia personale della quarta parte del Clavier-Übung quattordici canoni, scoperti soltanto nel 1975. Comporre canoni su un testo dato e creare melodie su un basso dato era, com'ancora avviene oggi nella didattica della composizione, un normalissimo esercizio di abilità. Ricorderemo per curiosità che Schumann propose alla giovanissima Clara Wieck, non ancora sua moglie, un basso, su cui la ragazzina creò una bella melodia e, partendo dalla melodia, delle variazioni assai virtuosistiche. Schumann riprese la melodia di Clara e la variò anche lui ma in modo "sapiente", introducendovi persino una fuga, nei suoi Impromptus op. 5.
Se i canoni di Bach fossero dodici saremmo nella consolidata tradizione del Settecento. Invece sono quattordici. Perché? O, meglio, c'è un perché? C'è. Per Bach il numero quattordici aveva un chiaro significato simbolico. La denominazione tedesca dei suoni inizia dal la, indicato con A. Andando di seguito, B è il si bemolle, C il do, D il re, ecc., fino alla H che corrisponde al si naturale. Attribuendo il numero 1 al la, il si bemolle avrà il 2, il do il 3, il si naturale l'8: la somma di questi quattro numeri, corrispondenti al nome BACH, dà 14. E in Bach troviamo vari impieghi simbolici di questo numero: ad esempio, egli attese per parecchi anni, prima di entrare nella prestigiosa "Società dei corrispondenti per le scienze musicali", attese cioè fino a quando potè entrarvi come quattordicesimo socio. In quella solenne occasione dovette donare alla Società il suo ritratto: posò per il pittore Elias Gottlob Haussmann, tenendo in mano un foglietto con scritto sopra uno dei quattordici canoni sul basso delle Goldberg: non il quattordicesimo, tuttavia, ma il tredicesimo (il 13 è di solito ritenuto un numero sfortunato, quello della "dozzina del diavolo": Bach se ne faceva forse un baffo?).
La variazione non è una forma ma un genere, e sebbene siano esistite alcune tipologie tradizionali di cui i compositori si servivano per dare forma all'insieme, si può affermare che ogni grande serie di variazioni è strutturata in un modo unico, irripetibile. Le trenta variazioni delle Goldberg (detto per inciso, il 30 - 10 x 3 - è il numero della pienezza e della perfezione) sono suddivise in dieci gruppi di tre (10 è il numero dei Comandamenti, 3 è il simbolo della Trinità). Nei primi nove gruppi l'ultima variazione è un canone a due voci con un basso accompagnante (che manca solo nel nono ed ultimo canone). L'accompagnamento, per così dire, addolcisce l'impatto sull'ascoltatore della rigorosa scrittura contrappuntistica, lo addolcisce e lo rende più colloquiale rispetto a quello dei quattordici canoni sul basso delle Goldberg o a quello dei canoni dell'Arte della fuga. Nelle Goldberg il primo canone (terza variazione) è all'unisono: la seconda voce ripete esattamente quello che ha appena fatto la prima, come se ne ripercorresse subito le orme, camminando ad un metro di distanza. Il secondo canone (sesta variazione) è alla seconda, come se la seconda voce rifacesse il percorso della prima ma, oltre che un metro indietro, anche spostata di un metro a lato. I successivi canoni sono alla terza, alla quarta, ecc., fino alla nona (ventisettesima variazione); ma il canone alla quinta (quindicesima variazione) è per moto contrario: come se la seconda voce, oltre che spostata a lato di cinque metri, andasse in direzione opposta a quella della prima.
Il decimo gruppo di tre variazioni ciascuno si conclude con un Quodlibet (a piacere, letteralmente; nell'Italia del Settecento il termine usato comunemente, invece di Quodlibet, era Misticanza). Nel Quodlibet Bach sovrappone al basso dell'Aria le melodie di due canzoni popolari. Che si tratti di canzoni popolari non ce lo dice lui, Bach: ce lo fa sapere il suo allievo Johann Christian Kittel, che ne cita gli incipit, rispettivamente - in tedesco, ovviamente - "Sono così a lungo restato lontano da te, ritorna, ritorna, ritorna" e "Cavoli e rape mi hanno fatto fuggire. Se mia madre avesse cucinato della carne sarei restato più a lungo". Canzoni popolari, dice il Kittel. Ma ci volle molto e molto tempo per scoprire le musiche originali, sfruttate da Bach solo parzialmente. "Cavoli e rape" è una Bergamasca - anzi, Pergamasca - emigrata dalla Lombardia nella Germania centrale e contenuta in un codice della fine del Seicento; l'altra canzone è stata alla fine ritrovata in una pubblicazione uscita a Lipsia nel 1696.
La divisione in dieci gruppi, con un ordinamento progressivo dei canoni e con il culmine del Quodlibet, scandisce l'articolazione rigorosamente geometrica della struttura. Alla divisione per gruppi di tre variazioni s'affianca però nelle Goldberg un altro tipo di divisione, una divisione in due grandi parti simmetriche. La sedicesima variazione è una vera e propria Ouverture alla francese (introduzione in movimento lento, seguita da un fugato), nettamente differenziata rispetto a tutte le altre variazioni. Siccome Bach prescrive che l'Aria venga ripetuta dopo la trentesima variazione, nella forma dell'opera si crea questa divisione dei trentadue pezzi in sedici e sedici (trentadue, lo ricordo al lettore, sono anche le battute dell'Aria):
Aria e 15 variazioni (I-XV)
15 variazioni (XVI-XXX) e Aria.

La divisione in due parti è talmente netta da consigliare a Jörg Demus, tenuto conto della durata di circa ottanta minuti delle Goldberg, di fare un intervallo dopo la quindicesima variazione, emotivamente intensissima, e di riprendere con la festosa sedicesima variazione dopo una sosta di una ventina di minuti. Si tratta di un'idea eminentemente pragmatica, che contrasta con il costume odierno e che viene quindi accettata con difficoltà (per non dire con scandalo), ma che non turba affatto, secondo me, la ricezione dell'opera e che, anzi, la favorisce.
Un'altra iniziativa pragmatica, anch'essa, oggi, dura da... digerire, fu quella di Jörg Ewald Dahler, allievo di un antesignano della "prassi autentica" come Fritz Neumeyer, che ad ogni variazione diede un titolo caratteristico, di gusto francese settecentesco. Questi i titoli delle prime tre variazioni: Les Polonaises (La Polacche), La conversation galante (La conversazione galante), Les Deux Bergers (I due pastori). Non vado oltre perché non sono autorizzato a pubblicare l'intero set di titoli, ed anche perché non vorrei sconcertare chi ritiene che il pregio maggiore del testo artistico risieda nella sua incontaminata autenticità. Mi permetto tuttavia di far osservare che, se è pur vero che nei titoli apocrifi c'è molto di Bach alla Couperin e anche un po' di Bach alla Grieg, è vero altresì che il Dahler non è un dilettante ma un filologo, uno studioso tutt'altro che incline a mercificare l'arte. I suoi titoli sono da intendere come segnali verso chi reagisce alla musica, invece che per dottrina, per sensibilità e per gusto, e mirano a facilitare e favorire la comprensione delle Goldberg indirizzando concretamente l'immaginazione dell'ascoltatore.
In realtà, sia l'iniziativa di Demus che l'iniziativa di Dahler che, per altro verso, l'iniziativa di un interprete rigoroso come Alfred Brendel, che intitola una per una le 33 Variazioni su un valzer di Diabelli di Beethoven, colgono un problema fondamentale dell'odierno concertismo: come si possono presentare al pubblico, in concreto, lavori che erano stati pensati per l'esecuzione da camera? Come si possono unire le mille o le millecinquecento persone nell'ascolto di opere pensate per un pubblico di due, tre, o al massimo dieci ascoltatori? Si tratta di un problema che sta alla base del concertismo solistico, che durante il secolo passato era stato progressivamente messo in ombra e che sta oggi riemergendo. Liszt aveva scritto nel 1855 che se Schumann avesse dato alla sua opera 15 il titolo Bagatelle, invece di Scene infantili, avrebbe reso più ardua la comprensione del suo lavoro. E, Liszt, il concertismo non solo l'aveva praticato: lo aveva anche inventato.
L'aneddoto che diede origine al titolo apocrifo Variazioni di Goldberg si trova, come ho già detto, nella biografìa di Bach che Nikolaus Forkel pubblicò nel 1802. Nello stesso anno usciva una nuova edizione delle Goldberg che andava a sostituire la prima, ormai introvabile. Questa edizione era nota a Hoffmann che, o parafrasando una sua esperienza o facendo ricorso alla sua lussureggiante bizzarra fantasia, introdusse l'Aria con diverse variazioni nel racconto Sofferenze musicali del maestro di cappella johannes Kreisler. In una brillante serata mondana con molti invitati viene chiesto a Kreisler di far sentire le Goldberg (non ancora denominate così). Egli, sa bene a che cosa si andrà incontro e vorrebbe dunque evitare lo scandalo, ma alla fine si lascia consigliare dai molti bicchieri di punch che ha bevuto ed accetta l'invito, sibilando fra i denti "ascoltate, e crepate di noia". Infatti, a poco a poco il pubblico se la squaglia, e alla trentesima variazione Kreisler si ritrova da solo, davanti al bicchiere del punch e ad una musica che provoca in lui un'ubriacatura maggiore di quella dell'alcol: "Le note prendevano vita, scintillavano, saltellavano attorno a me, un fuoco elettrico passava dall'estremità delle mie dita ai tasti".
A parte questa, forse fantastica e forse no, per tutto l'Ottocento non abbiamo notizie certe di altre esecuzioni complete. Sembra che Liszt eseguisse una parte delle variazioni. Nel 1883 Joseph Rheinberger trascrisse le Goldberg per due pianoforti, distribuendo il tessuto originale fra i due strumenti ed aggiungendo raddoppi e contrappunti. L'effetto era curioso: stereofonico, accordale, molto - come dire? - avvolgente. Non abbiamo notizia di esecuzioni pubbliche della versione Rheinberger, che solo trent'anni più tardi fu ripresa e ritoccata da Reger, ma che anche in questa forma non ebbe fortuna. Un'esecuzione parziale, su un clavicembalo con due tastiere, venne proposta a Londra nel 1897 da Alfred Hipkins. Agli inizi dei Novecento le Goldberg entrarono nel repertorio concertistico del pianoforte con José Vianna da Motta e con Ferruccio Busoni, che le ristrutturarono sia abolendo i ritornelli che alcune variazioni (la versione di Busoni, pubblicata, è del massimo interesse documentario). Vari altri pianisti ripresero le Goldberg, ma le prime esecuzioni integrali di cui si abbia notizia sono, negli anni Venti e Trenta, quelle di Harold Samuel, di Rosalyn Tureck e di Claudio Arrau al pianoforte e di Wanda Landowska al clavicembalo moderno.


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  Jimi Hendrix, nasce il 27 Novembre 1942, muore il 18 Settembre 1970. Chitarrista e Cantautore statunitense. #Hendrix #JimiHendrix #Music...