28 giugno 2024

MUSICA - STORIA - F. POULENC - LE BAL MASQUE

Francis Poulenc – Le Bal Masqué

Cantata profana su poesie di Max Jacob

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Le Bal Masqué (Il Ballo in Maschera) è una Cantata di Francis Poulenc dai toni irriverenti, surreali, composta nel 1932 su Poesie di Max Jacob; la Musica è scritta per Voce di Baritono (o Mezzosoprano), Oboe, Clarinetto, Fagotto, Cornetto, Tromba, Percussioni, Pianoforte, Violino e Violoncello.


Con la Composizione di questa Cantata Poulenc ottempera a una commissione dei visconti Charles e Marie-Laure de Noailles che gli avevano richiesto un’Opera da rappresentare al Teatro di Hyères e, nello stesso tempo, rende omaggio al suo caro amico, Max Jacob, di cui utilizza quattro brani tratti dalla raccolta “Laboratoire Central” del 1921, dando il massimo risalto alla sua Poesia surrealista.

La Musica di Poulenc è piena di energia vibrante, esalta i testi di Jacob e, a volte, è completamente in contrasto col significato delle parole; il linguaggio musicale di Poulenc è ironico, adeguato alla poetica di Jacob, efficace nel catturare l’attenzione degli spettatori, come avviene nella conclusione quando il narratore canta in falsetto e in fortississimo. Episodi strumentali: un’ampia Introduzione, un Interludio tra il primo e il secondo brano, Bagatelle fra terzo e quarto, preludi estesi prima del Finale, evidenziano momenti di virtuosismo e fanno da trait d’union tra una canzone e l’altra.

Il primo movimento non descrive una persona specifica presente al ballo in maschera; si basa su frammenti di immagini e fonemi rassomiglianti alla parodia di una filastrocca, come nella frase d’apertura “Madame la dauphine fine fine fine fine fine“; un altro esempio del vocabolario surrealista di Jacob è nella ripetizione di “Chine” o nella frase “En terre à Nanterres, où elle est enterrée“. Gli altri testi, “Malvina”, “La dame aveugle” e “Finale”, contengono elementi inquietanti e farseschi. In “Malvina”, Poulenc immagina una donna appariscente con un incarico accademico minore morta di recente.

Il ragionamento su questa morte varia da “elle vient mourir d’amour à ta porte” (è venuta a morire d’amore alla tua porta), a “disons qu’elle morte du diabète, morte du gros parfum qui lui penchait le cou”, (diciamo che è morta di diabete, morta per un forte profumo che le chiudeva la gola). Il pezzo si conclude con la frase piuttosto ironica impostata su un motivo che si richiama a Puccini, “Malvina, oh Fantôme, que Dieu te garde!” (Malvina, oh fantasma, che Dio ti custodisca!). La parte strumentale in stile tardo-romantico è interrotta bruscamente dal fagotto e da un fischietto. Nella “La dame aveugle” Poulenc evoca il ricordo di una signora vista durante un soggiorno a Nogent. Il testo presenta una descrizione farsesca della condizione umana con accenti sugli elementi grotteschi e assurdi come nel verso “la Dame grasse et aveugle dont les yeux saignent” (La donna, grassa e cieca, i cui occhi sanguinano); nonostante la sua cecità, presta anche particolare attenzione allo stato del suo guardaroba: “Elle prend garde aux plix de sa robe de peluche” (Si difende dalle rughe nel suo vestito di peluche). Max Jacob, inoltre, cita anche il fratellastro che conduce un’esistenza scandalosa e priva di onore; lettori e spettatori sono incerti su come reagire e Poulenc aumenta ulteriormente l’incredulità del momento terminando il movimento con una rude melodia da circo equestre. Per la parte finale Poulenc sceglie una poesia di particolare eccentricità in cui il narratore è un anziano riparatore di automobili “trop ​​vieillard pour Paris” (troppo vecchio per Parigi); costui usa immagini assurde (l’angle de tes maisons m’entre dans les chevilles) per descrivere il numero spropositato dei nuovi insediamenti abitativi realizzati a Parigi, canta sguaiatamente frasi sciocche e incorenti: “Mon gilet quadrillé a, dit-on l’air étrusque et mon chapeau marron va mal avec mes frusque” ( Il mio panciotto ha, si è detto, un’aria etrusca e il mio cappello marrone si abbina male ai miei fronzoli).

Poulenc tratta i temi di Jacob contrapponendo serietà e facezia, commenta con una fanfara assurdamente ottimista la vita del vecchio riparatore di automobili, chiude il brano in un veloce falsetto per sottolineare l’assurdità del personaggio.


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