23 luglio 2023

MUSICA – L. VAN BEETHOVEN – SINFONIA N. 7

Sinfonia n. 7 in la maggiore, Op. 92

#Music #History #Beethoven #Sinfonia

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Poco sostenuto - Vivace
  2. Allegretto (la minore)
  3. Presto (fa maggiore)
  4. Allegro con brio

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 13 Maggio 1812
Prima esecuzione: Vienna, Sala dell'Università, 8 Dicembre 1813
Edizione: Steiner, Vienna 1816
Dedica: conte Moritz von Fries

La Settima Sinfonia nasce fra l'autunno 1811 e il Giugno 1812, in comunione con l'Ottava e con le musiche di scena per "Le rovine di Atene" e "Re Stefano" di Kotzebue. La prima esecuzione pubblica fu organizzata l'8 dicembre 1813 nella sala dell'università di Vienna in una serata a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di Hanau dell'ottobre precedente: il concerto comprendeva anche due Marce di Dussek e di Pleyel e, dello stesso Beethoven, la Sinfonia "a programma" La battaglia di Vittoria, scritta per celebrare la vittoria di Wellington contro i francesi: opera che, come è stato tramandato non senza una punta di delusione, sconfisse risolutamente ogni altra pagina in quanto a considerazione e accoglienze da parte del pubblico.
Non sarebbe giusto tuttavia tacciare di superficialità i viennesi che lì per lì, sotto l'urgenza dello stimolo patriottico, sembrarono preferire il lavoro occasionale all'opera immortale; per altro, già da quella prima esecuzione, il secondo movimento della Settima, il celebre Allegretto, ottenne un successo strepitoso e se ne dovette dare il bis, circostanza che poi si sarebbe ripetuta in tutte le frequenti esecuzioni dell'opera ancora vivo Beethoven.
L'aspetto estroso, ai limiti della stravaganza, fu uno degli elementi più avvertiti dal gusto del tempo: non solo un arcigno come Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann) percepiva nell'opera la mano di un ubriaco, ma anche un apostolo romantico come Weber individuò eccessi oltre i quali non era più lecito spingersi (più tardi però, nel 1826, doveva dirigerne un'ammirata edizione a Londra); anche la parigina "Revue Musicale", dopo una esecuzione del 1829, in cui l'Allegretto fu regolarmente replicato, giudicava il finale «una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire soltanto da una mente sublime e malata». Anche l'esaltazione della Settima fatta da Wagner sarà il capovolgimento di queste censure contro la stravaganza e l'eccesso: «coscienti di noi stessi, ovunque ci inoltriamo al ritmo audace di questa danza delle sfere a misura d'uomo. Questa Sinfonia è l'apoteosi stessa della danza., è la danza, nella sua essenza più sublime». Danza quindi come sublimazione di una essenza ritmica, che percorre tutta l'opera in un graduale e costante crescendo d'intensità metrica, da una lenta messa in moto fino al massimo dell'eccitazione.
Non meno esaltante è quindi la strategia complessiva dimostrata da Beethoven nel maneggio di formule e vocaboli spinti all'incandescenza espressiva. Il Poco sostenuto introduttivo si richiama alle ultime Sinfonie di Haydn, alla K. 543 di Mozart, alle Sinfonie n. 1, 2 e 4 dello stesso Beethoven: la sua trasformazione nel Vivace, attraverso la microscopìa di una sola nota ripetuta, è una di quelle invenzioni irripetibili che non consentono altri sfruttamenti, e infatti Beethoven non scriverà più introduzioni lente in questo spirito.
Nel Vivace che se ne sprigiona la continuità ritmica è talmente costante che vengono cancellati i confini tradizionali fra temi principali e secondari; anche la consueta ripartizione di esposizione-sviluppo-ripresa diventa un punto di riferimento secondario rispetto all'unicità dello slancio vitale.
Incorniciato da due accordi degli strumenti a fiato in la minore, l'Allegretto è in forma ternaria, con uso di variazioni e scrittura fugala come nella Marcia funebre dell'Eroica: tiene il posto dell'Adagio o dell'Andante tradizionale, e trasfigura il pathos della confessione in una melanconia distaccata e come lasciata in sospensione dalla pulsazione ritmica anche qui inarrestabile (un dattilo seguito da uno spondeo), che non si interrompe nemmeno nel dolcissimo intermezzo in tonalità maggiore. Nel Presto l'accelerazione ritmica riprende il sopravvento, appena arginata da un Trio (derivato, a quanto pare, da un canto popolare di pellegrini che tuttavia assume qui scoperti caratteri marziali) intercalato due volte, come nella Quarta Sinfonia, al movimento principale; e tuttavia non c'è vero contrasto, perché il Presto si conclude ogni volta su una nota, un La, che resta tenuto e immobile per tutta la durata del Trio; accorgimento, come ha notato l'orecchio finissimo di Fedele d'Amico, «che finisce col costringerci a guardare il Trio, per così dire, dal punto di vista del Presto»; in altre parole, quel La tenuto non disperde l'energia ritmica ma la trattiene e la prepara a una nuova corsa. Il finale, Allegro con brio, il cui tema principale Beethoven aveva già usato nella trascrizione di un canto popolare irlandese, riassume e porta a conclusione tutti quegli aspetti trascinanti, bacchici, messi in luce da Wagner, ai quali nemmeno il gusto moderno, passato attraverso nuovi scatenamenti, riuscirà mai a sottrarsi.


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