- Poco sostenuto - Vivace
- Allegretto (la minore)
- Presto (fa maggiore)
- Allegro con brio
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Composizione: Vienna, 13 Maggio 1812
Prima esecuzione: Vienna, Sala dell'Università, 8 Dicembre 1813
Edizione: Steiner, Vienna 1816
Dedica: conte Moritz von Fries
Composizione: Vienna, 13 Maggio 1812
Prima esecuzione: Vienna, Sala dell'Università, 8 Dicembre 1813
Edizione: Steiner, Vienna 1816
Dedica: conte Moritz von Fries
La Settima Sinfonia nasce fra
l'autunno 1811 e il Giugno 1812, in comunione con l'Ottava e con
le musiche di scena per "Le rovine di Atene" e "Re
Stefano" di Kotzebue. La prima esecuzione pubblica fu
organizzata l'8 dicembre 1813 nella sala dell'università di Vienna
in una serata a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti
nella battaglia di Hanau dell'ottobre precedente: il concerto
comprendeva anche due Marce di Dussek e di Pleyel e, dello stesso
Beethoven, la Sinfonia "a programma" La battaglia di
Vittoria, scritta per celebrare la vittoria di Wellington contro i
francesi: opera che, come è stato tramandato non senza una punta di
delusione, sconfisse risolutamente ogni altra pagina in quanto a
considerazione e accoglienze da parte del pubblico.
Non sarebbe giusto tuttavia tacciare di
superficialità i viennesi che lì per lì, sotto l'urgenza dello
stimolo patriottico, sembrarono preferire il lavoro occasionale
all'opera immortale; per altro, già da quella prima esecuzione, il
secondo movimento della Settima, il celebre Allegretto,
ottenne un successo strepitoso e se ne dovette dare il bis,
circostanza che poi si sarebbe ripetuta in tutte le frequenti
esecuzioni dell'opera ancora vivo Beethoven.
L'aspetto estroso, ai limiti della
stravaganza, fu uno degli elementi più avvertiti dal gusto del
tempo: non solo un arcigno come Friedrich Wieck (il padre di Clara
Schumann) percepiva nell'opera la mano di un ubriaco, ma anche un
apostolo romantico come Weber individuò eccessi oltre i quali non
era più lecito spingersi (più tardi però, nel 1826,
doveva dirigerne un'ammirata edizione a Londra); anche la
parigina "Revue Musicale", dopo una esecuzione del 1829, in
cui l'Allegretto fu regolarmente replicato, giudicava il finale
«una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire
soltanto da una mente sublime e malata». Anche l'esaltazione
della Settima fatta da Wagner sarà il capovolgimento di
queste censure contro la stravaganza e l'eccesso: «coscienti di noi
stessi, ovunque ci inoltriamo al ritmo audace di questa danza delle
sfere a misura d'uomo. Questa Sinfonia è l'apoteosi stessa della
danza., è la danza, nella sua essenza più sublime». Danza quindi
come sublimazione di una essenza ritmica, che percorre tutta l'opera
in un graduale e costante crescendo d'intensità metrica, da una
lenta messa in moto fino al massimo dell'eccitazione.
Non meno esaltante è quindi la
strategia complessiva dimostrata da Beethoven nel maneggio di formule
e vocaboli spinti all'incandescenza espressiva. Il Poco
sostenuto introduttivo si richiama alle ultime Sinfonie di
Haydn, alla K. 543 di Mozart, alle Sinfonie n. 1,
2 e 4 dello stesso Beethoven: la sua trasformazione
nel Vivace, attraverso la microscopìa di una sola nota
ripetuta, è una di quelle invenzioni irripetibili che non consentono
altri sfruttamenti, e infatti Beethoven non scriverà più
introduzioni lente in questo spirito.
Nel Vivace che se ne sprigiona la
continuità ritmica è talmente costante che vengono cancellati i
confini tradizionali fra temi principali e secondari; anche la
consueta ripartizione di esposizione-sviluppo-ripresa diventa un
punto di riferimento secondario rispetto all'unicità dello slancio
vitale.
Incorniciato da due accordi degli
strumenti a fiato in la minore, l'Allegretto è in forma
ternaria, con uso di variazioni e scrittura fugala come nella Marcia
funebre dell'Eroica: tiene il posto dell'Adagio o dell'Andante
tradizionale, e trasfigura il pathos della confessione in
una melanconia distaccata e come lasciata in sospensione dalla
pulsazione ritmica anche qui inarrestabile (un dattilo seguito da uno
spondeo), che non si interrompe nemmeno nel dolcissimo intermezzo in
tonalità maggiore. Nel Presto l'accelerazione ritmica
riprende il sopravvento, appena arginata da un Trio (derivato, a
quanto pare, da un canto popolare di pellegrini che tuttavia assume
qui scoperti caratteri marziali) intercalato due volte, come
nella Quarta Sinfonia, al movimento principale; e tuttavia non
c'è vero contrasto, perché il Presto si conclude ogni
volta su una nota, un La, che resta tenuto e immobile per tutta la
durata del Trio; accorgimento, come ha notato l'orecchio finissimo di
Fedele d'Amico, «che finisce col costringerci a guardare il Trio,
per così dire, dal punto di vista del Presto»; in altre parole,
quel La tenuto non disperde l'energia ritmica ma la trattiene e la
prepara a una nuova corsa. Il finale, Allegro con brio, il cui
tema principale Beethoven aveva già usato nella trascrizione di un
canto popolare irlandese, riassume e porta a conclusione tutti quegli
aspetti trascinanti, bacchici, messi in luce da Wagner, ai quali
nemmeno il gusto moderno, passato attraverso nuovi scatenamenti,
riuscirà mai a sottrarsi.
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