Opera seria in 2 Atti; Libretto di C. Mazzolà
Prima Rappresentazione : Praga, Teatro Nazionale, 6
Settembre 1791
Atto I :
L'azione si svolge nell'antica Roma.
L'Opera si apre con un recitativo che vede in scena
Vitellia, figlia dell'ex Imperatore Vitellio, e Sesto, amico di Tito e amante
della stessa. La principessa cospira nei confronti del nuovo Imperatore, del
quale è in realtà innamorata, seppur non ricambiata, e approfitta dell'amore
che Sesto prova per lei per imporgli di aiutarla a organizzare una
congiura. (No 1, duetto: "Come ti piace imponi"). I dubbi di
Sesto, diviso fra l'amore per Vitellia e la fedeltà a Tito, suscitano le ire di
Vitellia (No 2, aria: "Deh, se piacer mi vuoi"). Partita
Vitellia, Annio e Sesto si confermano l'amicizia, e la suggellano con un
delizioso duettino (No 3, duetto: "Deh, prendi un dolce
amplesso").
Cambia scena: nel Campidoglio, splendidamente addobbato, fa
comparsa l'imperatore Tito e la corte (No 4, Marcia; No 5, Coro:"Serbate,
oh Dei, custodi"). Tito annuncia che ha rinunciato a sposare Berenice, una
principessa barbara, poiché vuole unirsi con una donna romana. Sesto si
avvicina a Tito insieme ad Annio, per chiedere il suo beneplacito alle nozze
fra Annio stesso e Servilia, sorella di Sesto. Tuttavia entrambi scoprono con
amara sorpresa che la donna romana che Tito vuole sposare è proprio
Servilia (No 6, Aria: "Del più sublime soglio"). Annio in
particolare rimane sbalordito, ma per amore di Servilia, è disposto anche a perderla,
ed esprime i suoi sentimenti in un magnifico duetto con Servilia (No 7,
Duetto: "Ah, perdona al primo affetto"). Servilia però confessa
all'Imperatore l'amore che la lega ad Annio; Tito allora, in tutta la sua
bontà, ammira la sincerità dei due giovani e rinuncia alle sue nozze con
lei (No 8, Aria: "Ah se fosse intorno al trono").
Vitellia intanto, non essendo a conoscenza del rifiuto di
Servilia al trono, diventa furiosa dalla gelosia e ordina a Sesto di dar fuoco
al Campidoglio e di assassinare Tito; Sesto, accecato dall'amore per Vitellia,
le obbedisce e si dichiara pronto a uccidere l'amico (No 9, Aria con
clarinetto obbligato: "Parto, ma tu ben mio"). Non appena questi è
partito, giungono da Vitellia Annio e Publio, prefetto del Pretorio, i quali la
informano che Tito ha scelto lei come sua sposa: la principessa rinsavisce e
tenta invano di richiamare Sesto (No 10, Terzetto: "Vengo...
Aspettate... Sesto!"). Sesto, benché tormentato da continui rimorsi e
indecisioni, è tuttavia risoluto nel soddisfare Vitellia, e riesce infine a
svolgere il compito che gli è stato assegnato (No 11, recitativo
accompagnato: "Oh dei che smania è questa!"). L'incendio del
Campidoglio e la notizia della congiura chiamano tutti i personaggi e la folla
sulla scena. Il primo atto si conclude con il celebre concertato in cui il coro
dei Romani e gli amici piangono la morte dell'amato Imperatore (No 12,
Quintetto con coro: "Deh, conservate oh dèi").
Atto II :
Nella prima scena, Annio informa Sesto che Tito in realtà è
sopravvissuto alla congiura. Sesto, pentito e oppresso dai sensi di colpa,
confessa all'amico il suo tradimento e si dichiara deciso a fuggire in esilio,
ma Annio lo invita a confidare nella clemenza dell'Imperatore (No 13,
Aria: Torna di Tito a lato). Ma Sesto è stato scoperto: giunge Publio coi
soldati ad arrestarlo mentre egli assicura a Vitellia la sua fedeltà (No
14, Terzetto: "Se al volto mai ti senti").
Cambia scena, gran sala delle udienze: Tito appare in
pubblico; il popolo e i patrizi cantano un coro di ringraziamento agli dèi per
avere risparmiato Tito nella fallita congiura (No 15, cavatina con coro:
"Ah, grazie si rendano"). Tito è convinto dell'innocenza di Sesto, ma
Publio gli fa notare che chi non è capace di tradire, non si rende conto quando
è tradito (No 16, Aria: "Tardi s'avvede"). Tito viene dunque
informato che Sesto in persona ha confessato la sua congiura al Senato, e
quest'ultimo ha già emesso la condanna a morte, a cui manca solo la firma
dell'imperatore. Compare Annio a perorare la causa dell'amico, confidando nella
clemenza e nel gran cuore di Tito (No 17, Aria: "Tu fosti
tradito"). L'Imperatore però, incredulo, è quasi sul punto di firmare la
condanna a morte, ma infine decide di vedere di persona Sesto prima di prendere
qualunque decisione (Recitativo accompagnato: Che orror! Che
Tradimento!"). I due si vedono, e sono colti da grande emozione (No
18, Terzetto: "Quello è di Tito il volto"); Tito è deciso a perdonare
il traditore, ma questi, pur di non tradire Vitellia, non vuole confessare il
motivo per cui ha attentato alla sua vita e dichiara di meritarsi la morte,
anche se continua a nutrire sentimenti di amicizia verso Tito e ne implora il
perdono (No 19, Rondò con clarinetto obbligato, "Deh, per questo
istante solo"). L'Imperatore, adirato, lo condanna alle fiere; ma, nella
celebre scena cara a Voltaire, dopo avere firmato la condanna, la straccia:
"E se accusarmi il mondo vuol pur di qualche orrore / m'accusi di pietà,
non di rigore". Davanti a Publio afferma però che la condanna è stata
sottoscritta, e canta la sua aria in cui esalta la figura del principe
illuminato (No 20, Aria: "se all'impero, amici dèi").
Vitellia nel contempo è angosciata dalla sorte di Sesto;
Servilia la implora di chiedere, in qualità di futura sposa, la grazia per il
fratello condannato. Tuttavia, di fronte all'indecisione di Vitellia, Servilia
si stizzisce, e critica la sua ambiguità (No 21, Aria: "S'altro che
lacrime"). A questo punto, colpita dalle parole di Servilia, Vitellia
decide di rinunciare al trono e alle nozze confessando la sua congiura
all'Imperatore. (No 22, Recitativo accompagnato: "Ecco il punto, o
Vitellia"; No 23, Rondò con corno di bassetto obbligato: "Non più di
fiori").
Cambia scena: nell'anfiteatro il popolo celebra la grandezza
di Tito (No 24, Coro: "Che del ciel, che degli dèi"). Proprio
mentre Tito sta per condannare Sesto, giunge Vitellia che rivela di essere la
seduttrice del suo amico e la mandante del delitto. L'Imperatore, rimasto
stupefatto dalle nuove rivelazioni, decide tuttavia di perdonare tutti (No
25, Recitativo accompagnato: "Ma che giorno è mai questo!"), e
termina con una magnifica azione di clemenza: "Sia noto a Roma ch'io son
lo stesso, e ch'io tutto so, tutti assolvo e tutto oblio". L'opera si
chiude con i protagonisti e il popolo romano che lodano la clemenza di Tito,
anche se Sesto non riesce ancora a perdonarsi il suo tradimento (No 26,
Sestetto con coro: "Tu, è ver, m'assolvi, Augusto").
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